venerdì 31 dicembre 2010

新年快乐!


domenica 26 dicembre 2010

Natale con i tuoi…


Questo è il nostro secondo Natale cinese. L’anno scorso, come forse ricorderete, il Budda Natale di Luca ha allietato la nostra tavolata di una ventina di scatenati italiani che in terra straniera celebravano "degnamente" il Natale. Quest’anno i nostri compagni di baldoria ci hanno lasciati soli, chi è tornato definitivamente in Italia, chi solo per le feste… Insomma, gli unici superstiti siamo stati noi e Antonio che è stato nostro gradito ospite. Infatti non ci siamo lasciati scoraggiare e la tavola è stata onorata dalla ormai collaudata lasagna rotonda, salame italiano, formaggi francesi, torta con crema pasticcera al limoncello, frutta secca e mandaranci molto natalizi. La mattina alle 6:00 Alice era già sveglia, pronta a scoprire se Babbo Natale avesse bevuto il latte e mangiato i biscotti che gli erano stati coscienziosamente lasciati la sera della vigilia per ringraziarlo delle sue fatiche. Che gioia scoprire tutti quei regali, come resistere alla tentazione di svegliare papà e mamma? Non prima però di sgranocchiarsi il biscotto già morsicato avanzato da Babbo Natale… forse aveva la panciona piena. Come si può facilmente intuire il nostro Natale è cominciato all’alba con un eccitantissimo spacchettamento di regali. Per tutto il giorno Alice non ha indossato altro che il suo nuovo vestito da principessa Aurora… temo che diventerà la sua seconda pelle. Ma la piccola ha apprezzato anche gli altri pensierini di Babbo Natale: un vestitino cinese rosso, una bambola (commento: peccato non sia un bimbo vero!), una famiglia di coniglietti, i trampoli, un abitino in velluto carminio, una zainetto a coniglio e infine le scarpette coi tacchi da principessa che hanno bucato il parquet (per somma gioia del padrone di casa).
Insomma un Natale lieto, ma la nostalgia di casa quest'anno è davvero tanta...

Grazie Babbo Natale


Con largo anticipo rispetto ai bambini italiani Alice ha ricevuto una montagna di regali. Così mentre voi siete ancora tra le braccia di Morfeo, noi siamo qui a spacchettare … vantaggi del Sol Levante!
Buon Natale a tutti!!!

mercoledì 22 dicembre 2010

圣诞节快乐


Babbo Natalina attende trepidante la notte di Natale…

Il miracolo della lievitazione


Accidenti! Manca lo zucchero a velo… come si dirà in cinese???

La fortuna assiste gli audaci

Nulla di fatto, seconda torta, seconda schifezza. E dire che di audacia ce ne ho messa parecchia, ma la fortuna non mi ha assistito. Ora, passi il cinese, lingua ostica un po’ per tutti oserei dire, ma fino a prova contraria l’italiano lo capisco ancora e la parola “istantaneo” mi evoca un qualcosa di immediato, rapido, che non richiede attese. Nulla di più sbagliato. Il mio bel mezzo chilo di “istant dry yeast, levure istantanee, instanthefe, levatura seca istantanea, fermento istantaneo” altro non era che lo stesso identico prodotto già comprato e lanciato nella spazzatura insieme alla prima torta. Non appena ho aperto il pacchetto mi ha preso lo sconforto. Poi ho pensato che ci fosse ancora una via di scampo: lasciare lievitare l’impasto per tutto il pomeriggio e tutta la notte e la torta sarà sublime! Povera illusa. Lievitare ha lievitato, indubbiamente, il problema è stato il sapore di spugna panificata, pure un po’ bruciata. Via nella pattumiera anche la seconda torta. La ricetta dei 7 vasetti per la torta allo yogurt è diventata la ricetta dei 14 vasetti nella mondezza. Sulla mia pellaccia ho sperimentato come qualcosa di terribilmente semplice possa tramutarsi in qualcosa di orribilmente complicato quando si vive in un posto come la Cina dove le mamme non fanno le torte per i propri bambini. Lascio ai posteri questa perla di saggezza: yeast è il lievito per fare il pane o la pizza (mai e dico MAI usarlo per fare un dolce), baking powder è invece il lievito per dolci. A saperlo prima mi risparmiavo una figuraccia, sei uova, e i soldi spesi alla pasticceria francese per una torta (peraltro sublime) dell’ultimo minuto! Ma non c’è due senza tre e alla fine l’ho spuntata. E’ stata dura, ho dovuto girare ben tre supermercati, farmi scrivere in cinese la parola “lievito” (parola trabocchetto dalle molteplici interpretazioni), e per finire ho dovuto “mimare” un forno e una teglia senza peraltro che qualcuno mi capisse. Sì, perché va detto che, in tutta leggerezza, sono andata al Carrefour col preciso intento di comprare, oltre al lievito, una banale teglia da forno, senza conoscere la traduzione in cinese di:
a) forno detto anche 烤箱 kǎo xiāng
b) teglia da forno detta anche 烤盘kǎo pán
c) torta detta anche 蛋糕 dàngāo
Ora, sfido chiunque a chiedere aiuto alle gentili commesse del Jialefu senza usare le suddette parole chiave. Mi sono vista costretta a giocare a Taboo in cinese… Non ho trovato la teglia ma in compenso ho molte nuove amiche al supermercato che si sono divertite tanto. Per la cronaca, l’unica teglia da forno esistente in tutta Pechino era in vendita in un mercato situato ad anni luce da casa mia. Ora è finalmente nelle mie mani e ha già visto cose bizzarre, come la prima “lasagna rotonda” mai sfornata al mondo! Come si dice? Il fine giustifica i mezzi…

Mezzogiorno di cuoco


Ultimamente ci sentiamo davvero a nostro agio in questa Cina che, nonostante le sue molteplici stramberie, ci piace tanto. E abbiamo sempre qualche buon amico intorno, italiano o straniero, stabile o di passaggio. Tra questi ultimi non può passare inosservato il buon Simone da Genova che diceva sempre “prima o poi vengo, prima o poi vengo…” e alla fine è venuto davvero! Così, nonostante un freddo da amputazione degli arti, abbiamo gironzolato insieme per le vie pechinesi alla volta delle principali attrazioni della città che mi sono ormai così familiari. In cambio di un assaggio di Cina Simone ci ha portato un po’ di sapori italiani: pesto di Prà, salame felino, trofie, parmigiano… Ma il vero valore aggiunto è stata la sua insospettabile arte culinaria. Lo sapevo dotato di certa maestria ai fornelli, ma su suolo straniero ha dato il meglio di sé. E così ogni sera ci siamo sbizzarriti in una sinfonia di piatti che mi ha fatto venire una gran nostalgia dell’Italia: pasta al sugo col salame, spaghetti alla carbonara, penne ai peperoni e melanzane, risotto ai funghi (cinesi). Il tutto innaffiato da vino rosso, cinese o australiano. Purtroppo il suo interesse culinario non si limita alla genuina tavola italiana ma straripa verso i gusti più esotici della cucina orientale, verso i reparti inesplorati del Carrefour. Una sera in preda a pura follia, abbiamo comprato l’anatra arrosto, un contorno di melanzane cinesi immangiabili, e frutta condita con maionese che può sembrare disgustosa ma non era malaccio. Per non parlare del morboso e pericoloso interesse di Simone per tutti i dolciumi cinesi o le sottospecie di frutta candita. Credetemi, la plastica gommosa è meno stomachevole. Per fortuna è ripartito, o mi ritroverei di 90 chili. E’ ripartito ma ha lasciato dietro sé un po’ di voglia di sperimentazione culinaria. Così, quale migliore occasione dell’avere ospiti a casa per preparare una bella torta allo yogurt? Non l’avessi mai fatto. Sono riuscita a sfornare la torta più disgustosa mai mangiata in vita mia. E dire che non era facile sbagliare data la facilità di preparazione Ma non è stata colpa mia, va detto. Tutta colpa del 酵母粉 jiào mǔ fěn, il lievito. Ah, come mi manca il caro, buono, innocente Pane degli Angeli! Il酵母粉 invece è diabolico e insidioso. Come potevo sapere che la torta avrebbe dovuto lievitare fuori dal forno per chissà quante ore prima di essere cotta? Il risultato? Una torta cotta fuori, cruda dentro e non lievitata, in poche parole un disastro. Un disastro che si è palesato in tutto il suo orrore solo una volta servito sui piatti degli ospiti, cioè Maya l’amichetta di Alice, e la sua mamma. Ero così contenta di aver fatto la mia prima torta cinese… Ma non mi do per vinta, domani la rifarò, questa volta con una quantità non precisata di un nuovo ingrediente sul cui pacchetto da ben 500gr è riportata in più lingue la dicitura “lievito istantaneo”. Questa volta sarò più fortunata?

Mestieri di strada


Svolti l’angolo et voilà il barbiere pronto al tuo servizio. Taglio, piega, tinta, tutto si può fare, basta mettersi in coda. Mi chiedo solo dove prendano l’acqua per lo shampoo e l’elettricità per il phon. Ma queste sono bazzecole, il vero artista è il dentista di strada: un’estrazione per soli 10 yuan…senza anestesia, naturalmente!

martedì 7 dicembre 2010

Letterina di Natale 2010

SANTA CLAUS
at Santa Claus Village
96930 Napapiiri - Arctic Circle
FINLAND

Caro Babbo Natale,
ti voglio bene. Per favore, mi potresti dare un vestito da principessa? O quello di Aurora o quello di Ariel, ok? Grazie moltissimo, ti mando un cuoricino con gli occhietti e la boccuccia.
Bye, bye!
[mamma, Babbo Natale parla italiano? Allora scrivi "ciao ciao"]
Ciao ciao,
Alice

venerdì 3 dicembre 2010

Saranno famose

Non c’è dubbio alcuno, in Cina può succedere di tutto, anche recitare in un film senza essere attrici! E’ ciò che è capitato alla mia amica ValenCina a cui è bastato avere il contatto di un'amica, mostrare un bel visino occidentale e masticare un po’ di inglese, et voilà… eccola sul set di una produzione cinese. Il famoso quarto d’ora di fama per lei è arrivato a Pechino! Certo non si trattava del Macbeth, piuttosto di qualcosa paragonabile a Un posto al sole, o cose del genere… Ma che importa, lei si è divertita un sacco! Chissà se mai la vedremo sul piccolo schermo cinese, prima di tornare alla nostra vita italiana…
I visi occidentali sono talmente rari che non è raro essere fermati per strada con la proposta di un futuro nel mondo dello spettacolo. Certo la qualità delle produzioni lascia un pò desiderare: in momenti di pura follia mi capita di fare zapping fra i canali cinesi e la scelta spazia dal documentario sull'Inner Mongolia, al telequiz, al dibattito in studio con una Maria de Filippi a mandorla, per arrivare a una sfilza infinita di soap opera in cinese che nulla hanno da invidiare alle performance sudamericane di una Grecia Colmenares, solo che le attrici vestono il qi pao e mangiano con le bacchette. Insomma stessi programmi spazzatura che intasano la tv italiana. Tuttavia, poichè le vie dello spettacolo sono infinite, anche Alice è sulla strada della celebrità. Settimane fa mentre pedalavo con lei sulla via del ritorno a casa, una ragazza mi ha fermata, folgorata dalla bellezza della mia piccola discendente. La tipa, un’agente dello spettacolo di una società di Hong Kong, che non parla una parola di inglese, mi ha rivelato che i cuccioli d’uomo bianco sono rari quanto belli. E così la richiesta della disponibilità a far partecipare Alice a qualche pubblicità o a piccole parti in un film. Perché no? D’altra parte Jodie Foster ha cominciato ben così… Ecco, magari non in Cina.

La Marianna filava la lana


Sarebbe meglio che si tramandasse di madre in figlia, ma anche appresa via web l’arte dello sferruzzare a maglia ha la sua poesia. Soprattutto quando i ferri sono di bambù e la lana viene dal mercato cinese sotto casa. Così, grazie all’aiuto e in collaborazione della fedele ValenCina, come due giovani nonne, ci siamo cimentate nel zhī (lavorare a maglia) usando il máo xiàn (filo di lana) e i zhēn (ferri). Siccome la mia destrezza si ferma al diritto e al punto legaccio, è più semplice che il mio cinese diventi fluente piuttosto che riesca a confezionare un vestitino per Alice prima di Natale. Ma chi lo sa, in Cina succede di tutto…

sabato 20 novembre 2010

Lezioni di piano


Do Re Mi Fa Sol La Xi !

giovedì 18 novembre 2010

Donna al manubrio

E’ iniziata in Cina una nuova era dei trasporti, e non sto parlando dei treni ad alta velocità, mio marito non me ne voglia. Sto parlando delle due ruote. Ormai non prendo più il taxi, i miei unici infallibili mezzi di locomozione sono la bici, la metro e i piedi. Diciamo che ogni volta che inforco la bici è un gioco d’azzardo col destino, una battaglia all’ultimo sangue col traffico, una roulette russa con la morte. E non esagero. Però vedo Pechino da una nuova prospettiva, più cruda ma sicuramente più vera. Intanto, quando sono fortunata, mi immetto nelle “piste ciclabili” che, a dispetto del nome che evoca percorsi bucolici ombreggiati da alberi e allietati dal canto degli uccellini, altro non sono che strisce di asfalto che corrono parallele alle corsie delle auto, separate da queste, quando capita, da basse ringhierine di metallo. Sulla pista ciclabile vige la legge del più forte, e il più forte non è mai il ciclista, che però può vendicarsi sul pedone. La peggiore minaccia è il sanlunche, il triciclo, che ama viaggiare contromano. E’ largo, ovviamente più ingombrante di una normale bici, e vederselo arrivare contro non è piacevole. Comunque ho imparato la legge della giungla: scansare sempre sulla sinistra, contro ogni regolamento stradale, a meno che non si viva in UK. Non so per quale tacito accordo tutti i mezzi (bici, tricicli, motorini…) che arrivano contromano tengano la sinistra, forse per aggiungere un livello di difficoltà a questo pazzo videogames che è il traffico di Pechino. Perlomeno si riescono a schivare, cosa non fattibile con le auto che vanno bellamente in retromarcia nella corsia ciclabile. In effetti non so dove andasse quel tizio che l’altro giorno, in modo sfacciatamente arrogante, puntava i suoi fanalini bianchi dritti verso di me. Pedalare a Pechino comporta l’avere nervi saldi e tanta tanta pazienza, un esercizio per l’anima insomma. Anche perché quando le auto sono parcheggiate proprio all’imbocco della pista ciclabile rendendola totalmente inaccessibile, la pazienza non è mai troppa. Comunque andare in bici a Pechino affina la vista e l’udito, è una questione di sopravvivenza. Uno va tranquillo per la sua via quando un mostruoso autobus arriva da dietro rombando come un dragone e, urlando la sua potenza, ti taglia la strada per accostare e raccogliere i passeggeri. Pazzesco, la pista ciclabile diventa improvvisamente zona di fermata per gli autobus di linea! Oltretutto questi bestioni parlano, hanno una voce infernale che dice qualcosa alle folle. Deve essere un messaggio terribile, del tipo: morirete tutti! Ma non so, il mio cinese è ancora un po’ povero. Gli autobus sono temibili, ma perlomeno avvertono della loro presenza, impossibile non udirli. Diversa è la minaccia dei motorini elettrici, che arrivano da dietro, silenziosi come la morte, e passano a un millimetro da me facendomi sobbalzare dallo spavento. “’tacci tua” gli direi in un impeto di romanità che non mi appartiene, ma tanto quello se ne andrebbe via impassibile senza un rumore né un sibilo di ruote. I motorini elettrici sono perfidi e infingardi.
A complicare le mie pedalate quotidiane, nella via sotto casa ci sono i lavori in corso, condotti da operai che vivono nel cantiere e, quando non dormono, manovrano massicce ruspe ed escavatrici infernali che gironzolano con noncuranza nel traffico quotidiano, scavano buchi grandi come crateri e sollevano un polverone indomabile. Potete ben immaginare il caos totale lungo la via che, fossimo in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo normale, sarebbe chiusa al traffico per ovvi motivi di sicurezza che non sto qui a elencare. Invece, siamo in Cina e io me ne approfitto: con sprezzo del pericolo pedalo per la via, prego che non si buchino le gomme e faccio il pelo ai cingoli delle ruspe, sperando di uscire al più presto dal polverone che, quando cala il buio, diventa peggio della nebbia in Val Padana.
Tutto sommato pedalare a Pechino è un’avventura divertente, e lo è anche per Alice. Ovviamente la bici è diventato il mezzo d’eccellenza per gli spostamenti da e per la sua scuola. Ho armato la bici per il trasporto dell’infante con una spesa totale di 4 euri così ripartiti: 2.5 euri per il seggiolino compreso il montaggio, 1.5 euri per il caschetto a prova di caduta. Con una cifra irrisoria ho fatto la sua felicità. Vive il ritorno da scuola come un viaggio di piacere, mangia biscotti, banane, oppure si addormenta sulla mia schiena. Se potesse scatterebbe fotografie al paesaggio. Così abbiamo risolto il fastidioso problema della ricerca di un taxi, introvabile nelle ore di punta. Per la verità la mattina restiamo ancora fedeli al nostro tassista abusivo, l’Amico Friz. Costui guida un hei chuzuche, un taxi nero, e da quando viviamo in terra sconosciuta ai taxi regolari, ci dà uno strappo a scuola la mattina, dietro giusta ricompensa. Una volta, mesi orsono, l’hanno quasi beccato. Scesi dalla sua macchina si avventano su di lui due tizi che immagino fossero poliziotti in borghese e un terzo ci avvicina e ci domanda se lo conosciamo, se ci ha chiesto soldi, ecc… Chi, lui? E’ un nostro amico. Come si chiama? Amico Friz. Il giorno dopo era di nuovo al lavoro.

domenica 31 ottobre 2010

Ma dove vai bellezza in bicicletta

Finalmente ho visto Pechino da una nuova prospettiva, in sella a una bicicletta. Finora ero stata scarrozzata da ValenCina sul portapacchi, con sommo disappunto del mio fondoschiena. Ma giovedì, avendo sotto gli occhi la scarcassata bici di Andrea - ruote a terra, due dita di polvere e niente lucchetto - una scintilla è scoccata nella nostra testa. Inforcate le bici ci siamo lanciate alla conquista della Cina, ma dopo tre pedalate il terrore di morire mi ha tradito. Il fatto è che il sellino della bici di Andrea era a circa due metri dal suolo, il che mi impediva non solo di toccare terra coi piedi ma di pedalare fiduciosa nel futuro. Quindi al primo biciclettaio mi sono fermata, o meglio sono carambolata giù dalla bici, col preciso intento di abbassare a livello pavimento quel maledetto sellino. Merita qui un cenno la figura sociale del biciclettaio di Pechino. Sarà capitato a tutti di avere i pneumatici sgonfi, i freni guasti o il cavalletto che fa cilecca. Di solito è una bella scocciatura perché bisogna trascinare la bici fino al negozio di riparazione più vicino, oppure acquistare il pezzo di ricambio e procedere con una laboriosa, sporchevole e talvolta inutile quanto disperata operazione di riassemblaggio. Io, che a malapena riesco a gonfiare le gomme, di solito confido nella preghiera. A Pechino è tutto più semplice, come per tante cose del resto. L’omino riparatutto è appostato agli angoli delle strade, nei vicoli, agli incroci principali, ma anche in quelli secondari. Si piazza col suo carrettino degli attrezzi, la chiave inglese, il pappagallo, brugole per tutti i gusti… e poi pezzi di ricambio come sellini, freni, pedali, lucchetti, cestini, caschetti, persino seggiolini per bambini. La competenza dell’omino spazia dalla riparazione della bici alla duplicazione delle chiavi di casa, passando credo per qualsiasi mansione che richieda l’uso di un cacciavite. Probabilmente l’unico dettaglio mancante è una regolare licenza di lavoro, ma in una città piena zeppa di biciclette, tricicli e carretti, chi volete che se ne accorga. Il biciclettaio solitamente indossa una tuta il cui colore si è perso sotto gli strati di grasso per catene. Lo stesso vale per il colore della sua pelle. Nonostante tutto però, la sua sporcizia mista a saggezza è apprezzata da molti, infatti il crocchietto di amici che si affollano attorno a lui è sempre folto. Andare dal biciclettaio è un ottima occasione per farsi degli amici o per esercitare il cinese, quindi anche noi ci siamo unite al crocchio. Buttandola in caciara, l’omino ci ha offerto gratis la sua manodopera (almeno così ci è parso di capire).
Una volta domato il sellino della bici, ci siamo finalmente lanciate per le vie della città, alle calcagna di un vecchietto che sul pianale del suo carretto trasportava coniglietti in gabbia ormai schizofrenici e pesci rossi nella boccia di vetro. Al ritmo di ogni pedalata l’acqua della boccia schizzava fuori e i pesci oscillavano pericolosamente da sinistra a destra, nella speranza di lasciar presto questo mondo. Siccome, a dispetto di ogni legge scientifica, i pesci non venivano catapultati sull’asfalto, lo spettacolo ha perso interesse e abbiamo accelerato l’andatura lasciando il vecchietto al suo destino. Lungo la via molti occhi increduli ci guardavano: che le biciclette esistano anche in Occidente? Una dura verità da accettare… Giunte a casa di ValenCina e restituita la bici al legittimo e inconsapevole proprietario, non restava altro da fare che “acquisire” una bici tutta mia. La procedura di acquisizione consiste in: 1)recarsi nella cantina dove sono accatastate centinaia di biciclette 2)procedere a tentoni al buio sperando di toccare solo cose inanimate 3)scegliere una bici dall’aria abbandonata, il che equivale alla presenza di una stratificazione carotabile di polvere e ragnatele 4) prelevare l’oggetto (se necessario tagliare la catena) e andare via fischiettando con l’aria di chi pensa ”Beh, cosa c’hai da guardare, mai visto una bicicletta?”. Avendo poco tempo a disposizione, ci siamo fermate alla fase 5)lavare la bici nella vasca da bagno. Fase che comporta qualche spiacevole conseguenza in termini di tracimazione di acqua nera sul pavimento del bagno. Ma che volete, inconvenienti del mestiere. A proposito stiamo pensando a una rivendita con spedizione all’estero, qualcuno è interessato?

mercoledì 27 ottobre 2010

Milano is burning


la Frangetta
Durante le spedizioni conoscitive di Pechino, io e la bella ValenCina ci siamo imbattute nel mercato della zona di Xidan. Pare che sia frequentatissimo dai giovani cinesi e in effetti a parte qualcosa di veramente trash, gli abiti sono abbastanza indossabili. Solleverei solo qualche obiezione nei riguardi della frangetta posticcia di ValenCina, scovata, appunto, nel reparto “bellezza” del suddetto mercato. Che dire, sono piuttosto contrariata per la mancanza di una frangetta bionda. Scusate, ma io come faccio? Altro articolo interessante sono le ciglia finte, ma ci sfugge la regola per cui dovrebbero miracolosamente rimanere attaccate alle nostre misere palpebre occidentali. L’unico metodo è quello di non sbattere le palpebre, metodo efficace ma di improbabile attuazione. Tanto ormai le folte ciglia cinesi sono finite in mano ad Alice, quindi irrimediabilmente perse. Una perdita non grave, tutto sommato.

giovedì 14 ottobre 2010

Cinesi si nasce o si diventa?

Un paio di giorni fa io e ValenCina, la mia nuova compagna di avventure pechinesi, abbiamo esplorato un mercato cinese, cinesissimo. La versione fatta da cinesi per cinesi del turisticissimo Silk Market. Basta con questi centri commerciali per occidentali, dove la contrattazione parte da prezzi ridicolmente alti per poi, dopo grande fatica e sudore, arrivare a pagare un prezzo pari a un decimo di quello iniziale. La soluzione è addentrarsi nei meandri dei mercati cinesi, dove nessuno parla inglese e non si vedono occidentali nel raggio di chilometri. Così, a cavallo di una bicicletta pechinese, siamo partite col nostro intento di integrazione col popolo locale. Merita qui un cenno il nostro mezzo di locomozione. La povera ValenCina ha, diciamo così, sbadatamente perso ben due biciclette nel giro di un mese, e si è così ritrovata, suo malgrado, a prenderne una terza in prestito. La bicicletta, coperta da uno strato di polvere millenaria, è stata sottoposta a lavacro purificatorio nella vasca da bagno, e poi restituita alla sua completa funzionalità con la sostituzione di un pedale alla rispettabile cifra di 4 yuan (circa 40 centesimi di euro). Poi per attutire quell’ arroganza tipica delle cose in buono stato, la mia amica ha pensato di cinesizzare la bici: un bel sacchetto di plastica a fasciare il sellino e pezzi di cartone nel portapacchi sul retro…et voilà, il gioco è fatto, l’aspetto da catorcio è restituito in tutta la sua crudezza! Quindi, lei ai pedali e io sul portapacchi (e sui cartoni) siamo partite alla volta del mercatone cinese. Non ho più le chiappe di una volta, quando passavo intere estati sulla canna o sul manubrio delle bici dei miei amici. Tuttavia, mantenendo un equilibrio seppur precario, siamo giunte sane e salve a destinazione, sfidando il traffico più disordinato e caotico che si possa immaginare. Il trucco è andare contromano lungo le piste ciclabili, evitando attraversamenti di incroci mortali. Certo, si rischia un frontale con i tricicli elettrici che trasportano ammassi di 6 metricubi di robaccia, ma perlomeno si ha il tempo di schivare il pericolo. Comunque, una volta sfidata la morte, ci si ricompone, si lega la bici a un palo e la si saluta come se fosse l’ultima volta, con un misto di apprensione e rassegnazione. Il mercato cinese è un’accozzaglia di prodotti di ogni genere, ammassati disordinatamente su bancarelle semicoperte o al chiuso. Si trova dall’imbottitura per materassi al canarino in gabbia, dal pesce fresco alle borse in similpelle, dalle stoviglie alle matasse di lana. Diciamo che i prodotti incontrano più i gusti cinesi che non quelli occidentali ma, come in tutti i mercati, scavando, scavando, tra tanta cianfrusaglia si scova il tesoro. Non si sa mai che possano servire una mazza da baseball, o una parrucca, o delle chiappe di silicone (tra l’altro utili come paracolpi in bicicletta)… Se non altro è sicuramente spassoso gironzolare nel mercato, che peraltro è gigantesco. Il nostro processo di integrazione ci ha portate a pranzare con la frittella di verdure e la famosa patata dolce arrostita. Al termine della full immersion cinese, grazie a Dio la bici era ancora al suo posto. Così, col potente mezzo, ci siamo dirette verso lidi più familiari, il Carrefour, o Jialefu, se preferite, dove abbiamo dato prova di perfetta cinesizzazione. Qui la mia amica ha comprato provviste utili a ricoprire il fabbisogno nazionale in caso di carestia, incurante del fatto di possedere una bici e non una station wagon. Ma in Cina tutto è possibile e tutto si avvera. L’obiettivo era quello di raggiungere la bici sotto casa mia fuggendo col carrello della spesa carico fino all’orlo. Manovra vietatissima che mi è riuscita solo una volta con mia sorella, complice il buio della notte. Invece, con ValenCina la missione è fallita e siamo state beccate. Urla disumane ci hanno indotte a fermare la nostra folle corsa ma poi, due parole in cinese e un po’ di caciara all’italiana, e il crudele guardiano del Carrefour si è intenerito e ci ha accompagnate fin sotto casa per poi riprendersi il carrello. Servizio a domicilio e gratuito. Non restava che caricare la bici con un enorme scatolone di cartone o meglio, sotterrare la bici con la spesa. Operazione che ha richiesto grande dispendio di tempo ed energie ma che è andata a buon fine. Sommersa dalla pasta, il tonno in scatola, lo spazzolone per lavarsi la schiena, il bagnoschiuma , la carta igienica e le verdure, la mia amica ha raggiunto vittoriosa i lidi domestici, scongiurando il pericolo che il cartone si squarciasse seminando di ogni ben di Dio le strade di Pechino. Tutto è bene quel che finisce bene.

mercoledì 13 ottobre 2010

Sano blues

Auguri a mia mamma e mio papà per i primi 36 anni di matrimonio!

Oggi mi affligge un sano blues. Dopo la solita lezione di cinese sono stata a pranzo con la mia Cai laoshi. E’ così amabile e carina! Forse la migliore insegnante che ho avuto, e ne ho cambiate sette! Non fosse altro perché con lei mi sento talmente a mio agio che parlo, parlo, parlo e non la smetto più. Lei, con la pazienza di un frate trappista, mi ascolta, cerca di capirmi e ride (non di me, almeno spero). Oggi, in una sorta di confessione alla De Filippi, mi ha dichiarato grande stima in quanto pare io sia un’ottima allieva. Le credo, sono portata a credere ciecamente a chi fa complimenti indiscriminati alla mia intelligenza! Poi, quando le ho comunicato la mia partenza a fine anno, anche se non così imminente, si è un po’ rabbuiata… Ha cominciato a implorarmi di continuare a studiare il cinese anche in Italia. Ed io ho cominciato a pensare che ormai siamo agli sgoccioli, tra un paio di mesi, tre al massimo, lascerò la Cina. Come farò a lasciare questa vita? Per esempio, anche quel cinese, Dio lo benedica, che ora sta ciondolando come un pendolo, appeso a una corda a più di 30 metri di altezza, solo per pulire le finestre di casa mia, anche lui mi mancherà… Come si fa a lasciare tutto questo?

giovedì 7 ottobre 2010

Al lavoro con papà


Ieri Mauri si è alzato dal letto con un’idea balzana nella testa: Oggi porto Alice con me al lavoro! Stai scherzando? A quanto pare non scherzava, visto che lo ha fatto sul serio. Io non ho opposto molta resistenza, dato che ho un raffreddore da carta igienica (nel senso che i fazzoletti non bastano). Così, zainetto in spalla e tanti buoni propositi, Alice è uscita con papà per andare al lavoro. A quanto pare il quarto d’ora di buone maniere non è stato disatteso: Alice ha ritagliato, disegnato, colorato, come si conviene alle brave bambine in visita all’ufficio di papà. Quando da piccola andavo in banca con mio papà, mi fotocopiavo le mani… che altro potevo fare? Ma se si presentava l’occasione di entrare nel caveau… non stavo più nella pelle! Anche se alla fine non ho mai visto lingotti d’oro.
Alice ha prima scarabocchiato un po’ di fogli e poi ha gironzolato un po’ tra i colleghi, fino a quando all’una non è arrivata la mamma guastafeste… Siamo usciti per il pranzo nel vicino hutong, da Maria la sucida, succursale cinese della nota locanda genovese. Che posticino! L’unico strumento usato per pulire il pavimento è un vecchio cagnolino che come un aspirapolvere cattura il cibo caduto dai tavoli prima che tocchi il pavimento. Per il resto tavoli senza tovaglia, puliti col solito straccetto umido e grigio. La Cina è la patria degli straccetti umidi e grigi. Tutte (ma proprio tutte le ayi) sia a casa che nei locali pubblici, adorano accarezzare lo sporco con questi straccetti, disponibili in tutte le tonalità di grigio. A volte avrei piacere che lo sporco rimanesse sul tavolo, piuttosto che assistere al passaggio dello straccetto che, non solo non pulisce, ma aggiunge una patina umidiccia al desco, e mi tocca aspettare che si asciughi prima di appoggiare i gomiti, seppur con riluttanza. Comunque se devo scegliere tra lo straccetto e il mocio, scelgo lo straccetto. Niente è più ributtante che essere nei paraggi di un cinese che stia maneggiando un mocio, il quale (mocio) di solito ha visto l’acqua fresca solo una volta nella vita. Il mocio viene agitato disordinatamente e dissennatamente sul pavimento, di solito lordo di ogni nefandezza. Bisogna stare all’occhio, perché l’uomo col mocio non guarda in faccia a nessuno, soprattutto al Carrefour, reparto carne e pesce, dove, per qualche strano fenomeno naturale tutti i liquidi che furono vitali e gli umori animali percolano sul pavimento formando un sottile strato vischioso e scivolosissimo. Questa cosa, tutta cinese, di avere i pavimenti sempre bagnati proprio non la capisco. Sarebbe molto più semplice evitare di macellare carne e pesci davanti a tutti come fossimo al mattatoio e tutto sarebbe mantenuto lindo e pulito e... molto più noioso. Ecco perché il signore col mocio assume un ruolo sociale importantissimo, evitando paralisi certa o vertebre incrinate a sprovveduti clienti come me che, accidentalmente, potrebbero scivolare sul sangue di una tartaruga appena decapitata. Resto dell’idea che preferisco la paralisi al mocio zozzo e bagnato sul piede con infradito.
Comunque, tornando a noi, (ammetto di avere un po’ divagato) in un certo senso sono grata alla signora Maria che non conosce mocio. Il cibo comunque è molto buono e si è speso 4 euri in 4. Ah, questa sì che è Cina!

Cinesi fake


Il 22 settembre si festeggia la Festa di mezzo Autunno e così rieccoci, come lo scorso anno, a mangiare i dolcetti della luna. Ma questa volta io e mia sorella, nonché Alice, siamo entrate pienamente nella parte. Come perdere una tale occasione di travestirci da cinesi? Certo, l’effetto mimetico è discutibile, il qi pao è più aderente di una muta, le cuciture cedono a ogni respiro e i bottoni saltano ad ogni risata… ma ci siamo divertite lo stesso.

Acrobazie cinesi


Anni e anni di allenamento, mica sono una dilettante io.

Mama e meimei a Pechino


In un batter d’occhi si sono volatilizzate le due settimane orientali di mamma Rosa e sorella Vale. Non c’è due senza tre, direbbe zia Vale… Infatti per lei era la terza volta in quel di Pechino, ma per nonna Rosa è stata la prima. Prima volta per tutto, direi: prima volta in aereo, prima volta in viaggio senza nonno Adri, prima volta al ristorante con le bacchette, prima volta a 8000 km da casa. Insomma un’avventura con la A maiuscola, da cui nonna Rosa è uscita un po’ frastornata ma incolume... Le visite di rito includevano Città Proibita – Piazza Tien’an men - Palazzo d’Estate – Tempio del Cielo – lago Houhai – Torre della Campana e del Tamburo - mercatino di Panjiayuan – 798 – Quartiere Olimpico - Grande Muraglia con scivolo annesso, e così via… Giro turistico al completo, poco shopping e molte scorpacciate: cinese – giapponese – tailandese – vietnamita – iraniano e ovviamente italiano! Infine il sommo sollazzo: il massaggio ai piedi e il massaggio cinese. Quest’ultimo, fatto col pigiamino, è a metà strada tra la tortura e la goduria ma, una volta accettato il dolore, non è niente male.

domenica 3 ottobre 2010

Outing


Alice e Francesco, l'animale.
Parecchie settimane or sono, mamma azienda ha regalato a dipendenti, consulenti, figli e consorti un grazioso weekend fuori porta, nella verde campagna pechinese. Ora il fatto che lo abbia chiamato Outing 2010, non significa che ognuno di noi sia stato costretto ad ammettere la propria omosessualità. Resta il fatto che ognuno di noi ha dovuto cimentarsi in qualche abilità nel tentativo di socializzare e amalgamare le due simpatiche metà Italia-Cina. Per quanto mi riguarda ho dato il meglio di me nel 乒乓球, uno dei più amati sport nazionali cinesi. Mentre accanto a me si svolgevano partite di badminton all’ultimo sangue con tanto di gara ad eliminazione, altri colleghi italiani si sfidavano a basket usando una palla di piombo che più di una volta è atterrata sul tavolo da ping pong mettendo a repentaglio la nostra stessa vita e decretando, in modo non troppo sportivo, vincitori e vinti. Sopravvissuti a questi sport estremi siamo stati premiati da un barbecue all’aperto a bordo piscina. Carino, non fosse stato per il cibo, troppo cinese per essere chiamato barbecue, e per il buio che impediva di vedere il contenuto del proprio piatto… ma forse meglio così. Se poi si aggiunge che le uniche posate a disposizione erano i famigerati bastoncini, affrontare la cena al buio si è rivelato un combattimento all’ultimo schizzo. Merita qui un cenno la cucina cinese. Per l’intero weekend abbiamo ovviamente mangiato cinese, e non lo dico con molto entusiasmo. Quando i cinesi vogliono far apprezzare la propria cucina mettono in tavola, a tutto vantaggio dell’amato ospite occidentale, le migliori specialità che vanno dall’intestino crasso del maiale al lumacone di mare. A pranzo Alice, ridacchiando, offriva ai commensali italiani inorriditi, zampe di gallina bollite, pescate da un intruglio brodoso non troppo allettante. Tra l’imbarazzo e la nausea l’80% delle portate sono rimaste intoccate. Una collega cinese ha notato, con certo raccapriccio, che a noi italiani piace mangiare l’anguria a colazione (aggiungerei: soprattutto quando si è digiuni dal giorno prima e in tavola non ci sono né brioches fragranti né fagottini alla Nutella). Ora, non vorrei essere polemica, ma la tal collega storceva il naso di fronte all’anguria mentre assaporava con ostentata disinvoltura un uovo sodo nero e grigiastro! Adesso, capisco che cuocere le uova nel the sia una sopraffina tradizione culinaria cinese, ma vi assicuro che, a guardarlo bene, l’uovo nero appare, in tutto e per tutto, un uovo marcio! Quindi è proprio vero, de gustibus
Il dopo cena del sabato era dedicato ai tipici divertimenti cinesi: il bowling e il karaoke (o per dirlo alla cinese il KalaOK). Dopo un sabato all'insegna dello sport, la domenica mattina , come da programma, siamo stati a raccogliere le pesche nella campagna circostante. Esperienza carina, non fosse stato per i 40° all’ombra. Per la verità di pesche neppure l’ombra, quindi ci siamo dovuti accontentare di uno strano frutto, incrocio tra una mela e una pera. Ho però imparato che le noccioline, quelle americane che si mangiano al cinema, non crescono nei sacchetti, ma sotto terra. Lo sapevate? Tra l’altro anche il prezzo è salatissimo. La saggezza culinaria cinese vuole che prima di essere mangiate vadano tostate in un grosso recipiente ricolmo di sabbia. Un tantino complicato da fare in casa, resto dell’idea di andare al Carrefour.

venerdì 1 ottobre 2010

61°


Mao magnanimo vi augura un buona festa della Repubblica Popolare Cinese.

giovedì 30 settembre 2010

Ore liete

A scuola...

...costruisco...

...cucino...

...disegno...

...ballo...

...lavoro!

Onorificenze


La mia vecchia scuola mi ha appioppato un attestato di conoscenza della lingua cinese. Per carità, lo accetto volentieri, ma chissà cosa c'è scritto...

giovedì 16 settembre 2010

Ritorno ad Oriente

Le nostre mirabolanti avventure nell’emisfero australe sono ormai finite e noi siamo tornati alla nostra vita pechinese, soddisfatti ma con un po’ di nostalgia nel cuore. Qui tutto è rimasto com’era, o quasi. La nostra vita sociale, a parte qualche sporadica uscita, si svolge ormai esclusivamente nel parchetto di casa, un microcosmo davvero singolare. Si incontrano persone interessanti, anche se è un tantino irritante il fatto che gironzolino per il parco in pigiama. No, non tute da ginnastica o camicie che sembrano pigiami, no proprio pigiami con tanto di pizzi, merletti, orsetti ricamati che fanno la nanna. Non che abbia pregiudizi sulla moda altrui, per carità. E’ che fa tanto manicomio, o casa di cura per anziani… Ma che vogliamo farci, la Cina è anche questo. Nel frattempo Alice ha ripreso la scuola, con tanto entusiasmo e alcune novità. L’amato maestro Tom è purtroppo tornato nella sua Indonesia, Nin lǎoshī ha cambiato classe, solo l’inossidabile Lily tiene salda la bandiera della Primary 4, la classe di Alice. Sempre al loro posto anche la pecora, due conigli e i pulcini. E’ poi arrivata una nuova maestra, aunty Christa, un’enorme, gigantesca, giunonica svizzera che sembra la custodia di Lily. Ma il pezzo forte di quest’anno è il pianoforte! La piccola Alice, come tutte le bambine di buona società, viene educata quotidianamente alla musica classica. Così, mentre Alice si cimenta nell’arte di Chopin, io mi dedico anima e corpo al Mandarino. Le mie prodezze linguistiche si svolgono in uno scenario nuovo, la Cang Jie Mandarin School, che come scenario lascia un po’ a desiderare, ma come scuola funziona alla grande. Tre volte a settimana mi reco in questo vetusto edificio maoista, che dell’epoca di Mao ha mantenuto sia le finiture interne che le puzze dei corridoi. Con un ascensore che funziona un po’ a caso, si sale al 7° piano e si approda alla mia nuova scuola che è una micro-scuola fatta di micro-aule dove le micro-lǎoshī insegnano. Solo la direttrice, la Sig.ra Rottermaier con occhi a mandorla e sguardo torvo, cerca di imporre la sua figura incutendo timore e reverenza su tutte le sue sottoposte, pari a educande soggiogate dalla Madre Badessa. Il tutto è molto comico, almeno ai miei occhi occidentali. Mi piace molto questa scuola perché è genuinamente cinese. Varcata la soglia è consentito parlare SOLO in cinese e TUTTI devono avere un nome cinese. Per la cronaca, d’ora in poi chiamatemi 小梅.

Pesciolini si nasce




Quanti amici!






Laguna blu






Il potente mezzo







Yasawa Island


E alla fine il paradiso


L’oceano di Moreton Island è stato un primo assaggio di mare. Un mare fatto di sconfinate spiagge, di fari, di relitti, un mare completamente diverso da quello tropicale che ci attendeva il giorno dopo: le isole Fiji. Il nostro arrivo in pompa magna prevedeva il volo in idrovolante con conseguente ammaraggio, senza giro della morte. L’idrovolante è una simpatica scatoletta di tonno con due ali, può contenere quattro persone, più il pilota e il copilota (il cui ruolo è quello di dormire sulla spalla del pilota per l’intera durata del volo). Vivamente consigliato a tutti coloro che soffrono di aerofobia, il volo a bassa quota consente di ammirare un paesaggio da urlo: atolli corallini, acqua di tutte le gradazioni, dal blu scuro al verde cristallino. Non ci sono parole. E poi finalmente si arriva in paradiso (in senso figurato, si intende): l’isola Nacula nell’arcipelago delle Yasawa. Sabbia bianchissima, cielo blu intenso, nuvolette disegnate col pennello e fantastici pesci colorati. Ah, dimenticavo, migliaia di paguri sulla spiaggia, meticolosamente raccolti e morbosamente catalogati da Alice. E poi i figiani… che gente! Quando si va alle Fiji, è doveroso non tralasciare la visita a un villaggio figiano, assistere a una danza tradizionale, mangiare il cocco, visitare le chiese, vedere le scuole dei bambini e, naturalmente, giocare con loro. Alice non se lo è fatto ripetere due volte. In men che non si dica si è trasformata in una bambina del villaggio, partecipando alle allegre scorribande. E’ ormai una cittadina del mondo, e sono molto orgogliosa di lei.

mercoledì 15 settembre 2010

Cape Moreton


Fuga verso la libertà


Fettina di blu


Un, due, tre... via!


martedì 14 settembre 2010

Ronzolando su e giù


Le meraviglie di Brisbane sono da cercare fuori città. La visita del centro si esaurisce in un pomeriggio ma si può cogliere l’occasione per una buona biciclettata. Partendo dal City Botanic Garden si può costeggiare il fiume lungo una delle innumerevoli piste ciclabili e perdersi tra le viuzze di una sonnolenta zona residenziale punteggiata di villette in legno in splendido stile coloniale. Anche qui non si può rinunciare al contatto con l’affabile popolazione locale. Stavolta una cara nonnina, insospettita da due loschi figuri in bicicletta travestiti da turisti, con al seguito un’innocente bambina di quattro anni, ci avvicina minacciosa. Why are you taking pictures to these houses?… Ma veramente io… non faccio nulla di male, non violo la proprietà privata di nessuno, è solo che ho questa immonda passione per la fotografia e per l’architettura, lo so… deplorevole. I call the police, now! Ma siccome ci mettiamo a ridere la nonna va su tutte le furie e torna a casa a grandi falcate per avvertire la Sicurezza Nazionale. Poco dopo, mentre ripongo la macchina fotografica una volante della polizia ci passa accanto. Probabilmente abbiamo infranto la legge, chissà. Meglio andare fuori città, dove il solo pericolo che si corre è quello di imbattersi in qualche animale selvatico, ma innocuo, come i due wallaby che ci guardavano curiosi dal ciglio della strada che si arrampica lungo il monte Tamburine. Qui è anche possibile visitare una fattoria di alpaca e camminare su vertiginose passerelle di legno che si snodano in cima ad altissimi alberi, tipo Tarzan ma più comodi. L’escursione più straordinaria e imperdibile resta indubbiamente quella a Moreton Island! Un’isola completamente di sabbia con dune desertiche, laghi salati e una fitta vegetazione. Non ci sono strade asfaltate, ma solo piste di sabbia percorribili in 4x4. Una vera avventura, condivisa con due ragazzi francesi e la nostra guida australiana che ha mostrato grande maestria alla guida del veicolo fuoristrada. Il neologismo coniato da Alice, “ronzola”, voce del verbo “ronzolare” ossia oscillare disordinatamente da sinistra verso destra, rende perfettamente l’idea dell’andatura della jeep nella sabbia. A dirla tutta anch’io ronzolo pericolosamente in bicicletta, secondo il suo insindacabile giudizio. Nonostante l'andatura incerta il 4x4 ha raggiunto The Desert, una vasta e surreale distesa di sabbia. Non senza difficoltà ho scalato la duna di sabbia e raggiunto la cima, stavolta senza ronzolare, ma ansimando come una locomotiva a vapore. Il che rendeva la cosa un tantino sgradevole, vista la bufera di sabbia che si abbatteva su di noi. Mentre io tentavo invano di non essere sepolta viva, Alice saliva come uno stambecco senza un capello fuori posto, nonostante il vento a 1000 nodi in cima alla duna. In quelle condizioni, l’unica via di scampo alla sepoltura rimaneva il sandboarding: l’originale trovata prevede di lasciarsi cadere a corpo morto lungo il pendio della montagna di sabbia, utilizzando come slittino quella che a tutta l’aria di essere una doga di parquet, da piazzarsi sotto la pancia. All’inizio la verticalità del pendio trasmette l’ingrata sensazione di finire piantati come un palo nella sabbia e sparire per sempre al cospetto del mondo. Ma in realtà l’unica vera controindicazione alla pazza discesa è quel quintale e mezzo di sabbia che ciascun buon turista si porterà a casa, un po’ infilato nelle tasche, un po’ nelle orecchie, nel naso, nella bocca e perché no, un po’ nelle mutande. Perché, statene certi, la sabbia è arrivata fino a Pechino e approderà persino a Milano! Una volta appurato che il sand boarding non aveva grosse ripercussioni sulla salute, anche Alice è stata lanciata giù dalla rupe come un siluro, in modalità koala aggrappato alla schiena di papà. Ovviamente lo avrebbe rifatto all’infinito, se solo la zavorra di sabbia che si è ritrovata nei vestiti non l’avesse trattenuta ai piedi della duna. Così, causa forza maggiore (la gravità), abbiamo lasciato il deserto, un po’ alleggerito della sua bianchissima sabbia. Sempre ronzolando, abbiamo raggiunto la Blue Lagoon, un lago salato interno, poi il faro di Cape Moreton, il più antico del Queensland e infine i relitti affondati di alcune navi spiaggiate. Una visita semplicemente fantastica, compreso il ronzolare su e giù per l’isola lungo i tracciati interni e sul bagnasciuga oceanico dove l’incontro con una signora testuggine marina ha concluso degnamente la giornata. Un paesaggio straordinario che valeva l’intero viaggio in Australia. Parola di viaggiatrice!

lunedì 13 settembre 2010

Amico canguro


venerdì 10 settembre 2010

Incontri ravvicinati


giovedì 9 settembre 2010

Stramba fauna australiana


Salutato il deserto rosso la nostra prossima meta sarà Brisbane. L’illusione di trovare un po’ di calduccio avvicinandosi al tropico è subito svanita, almeno nei primi giorni. Però l’aria è decisamente più tiepida di quella di Sidney, lo stesso non si può dire dell’animo ruvido degli abitanti di questa cittadina. La proprietaria della guesthouse ci ha accolto con un calorosissimo benvenuto. La poverina è venuta a prenderci all’aeroporto ma poi, forse per timidezza, forse giustamente per non pagare il parcheggio troppo salato, è rimasta nascosta in macchina, continuando a girare in tondo, senza mai fermarsi, sperando in un incontro fortuito. e accidentale. Purtroppo il fato, la cabala dei destini incrociati, o la sfiga che dir si voglia non hanno congiunto le nostre strade. Certo, le probabilità di successo erano all’osso, se si considera poi che la povera signora era sprovvista di cellulare. Quando, dopo un’ora di attesa, svariate telefonate inutili e quaranta dollari di taxi, abbiamo provato a dirle che non avevamo voglia di giocare a nascondino, non fosse altro per l’ora tarda, la signora si è un tantino risentita, ci ha sbattuti a dormire in una cella frigorifera e ci ha negato la colazione del giorno dopo. La mattina seguente, ancora intirizziti dal freddo della notte, tentiamo di prepararci un caffé ma non ne veniamo a capo e la signora, forse imbronciata per la scaramuccia del giorno prima, è scomparsa nel nulla. Come disperati la cerchiamo dappertutto finché non ci imbattiamo in Kelly Osbourne che prima ci guarda trasognata, poi ciabattando si trascina a chiamare la madre, ossia la povera signora, che con sguardo torvo ci concede un caffé. A questo punto lo sbigottimento si è ormai trasformato in serafica furia omicida e il cambio di albergo è stato talmente repentino ed efficace che di noi è rimasta solo la polvere. Tutto sommato alla fine è bastato accarezzare un koala e quattrocento canguri per risollevare il nostro morale al tappeto. Il Pine Koala Sanctuary è una tappa obbligatoria per chiunque viaggi in Australia con i bambini. Alice non stava nella pelle dall’eccitazione di poter abbracciare un koala ed è letteralmente impazzita a saltare dietro ai canguri. Una giornata fantastica. Abbiamo conosciuto un emu che assomiglia a uno struzzo, un casuario che arriva dalla preistoria, e un platypus che è un mammifero ma depone le uova come un uccello.
Certo però la fauna australiana è proprio stramba, e non parlo solo degli animali…

Rosso di sera


martedì 31 agosto 2010

Alberi desertici







La nuova stramberia cromatica di Alice riguarda il verde. Guarita completamente dalla Xantofobia, la paura del giallo, ora è affetta dalla passione per il verde, che non credo abbia un nome medico ma è comunque abbastanza fastidiosa! Che dire, meglio attrazione che rifiuto. Tutto ciò che è verde, completamente o in parte, viene selezionato, catalogato e minuziosamente separato dal volgarissimo mondo degli altri colori. L’onda verde quindi, non ha portato grande simpatia per il deserto rosso australiano, sfacciatamente rosso. Ma, a dispetto di quanto sostiene Alice, nel Red Center c'è parecchio verde, certo un po' secco…

Profondo rosso


Lasciata Sydney (o Disney se preferite) al suo destino, un volo diretto su Ayers Rock ci ha catapultati nell’infuocato deserto rosso. Purtroppo l’avvicinamento al monolite non è stato lento e graduale attraverso un’avventurosa traversata in auto del deserto come avevamo programmato. Ma visto l’inizio disastroso dell’avventura australiana, alla fine tutto si è risolto in modo decoroso. Quindi, arrivati via aria anziché via terra, siamo sbarcati con una montagna di aspettative in tasca che, devo dire, non sono state affatto tradite. La bellezza dei paesaggi desertici leva il fiato. Intanto il terreno è davvero rosso! Certo il colore cambia molto in base all’inclinazione del sole, ma è comunque incredibilmente rosso, direi marziano. Una terra rossa, punteggiata dal verde qui e là, coperta da un cielo straordinariamente blu. Fantastico! Persino Alice ha subito la magia ancestrale di questo posto. Da buona camminatrice ha onorato Uluru con lunghe passeggiate alla sua base. Avrebbe anche scalato il monolite, se solo non l’avessimo fermata in tempo. Del resto gli aborigeni chiedono gentilmente di non farlo, per cui l’arrampicata sulla roccia sacra non solo è mortalmente pericolosa, ma anche stupidamente offensiva. Quindi, non potendo salirci sopra, Alice si è limitata a correrci intorno, il più rumorosamente possibile! Certo, il sacro e surreale silenzio di Uluru non si può assaporare in compagnia di una bambina che, quando non canta a squarciagola, urla come un’indemoniata. Se poi si considera che ai piedi del monolite non ci sono bagni e ai bambini prima o poi scappa… addio sacralità! Ma anche questo è viaggiare ai bambini…
Uluru è uno dei posti più magici che abbia mai visto ma nel contempo, va detto, è un’infernale macchina turistica. Chi ha messo in piedi la baracca ha congegnato una fabbrica per far soldi, senza troppo rispetto per “l’intelligenza” del turista. Non che mediamente il turista sia un essere intelligente, me ne guardo dal dirlo, ma ad Uluru ci siamo sentiti un tantino offesi. Se non si ha un’auto a noleggio (e questa è stata purtroppo la nostra condizione) si è in completa balia di un perverso sistema di visite guidate. Intanto non è possibile muoversi liberamente all’interno del Parco nazionale di Uluru e Kata Tjuta, se non affidandosi a costosissimi tour guidati dai ritmi insostenibili, perlomeno con i bambini. Tour che durano solo mezza giornata, poche ore di visita frenetica e lunghi momenti di ozio e di noia all’interno del mondo dorato del resort. Anche l’opzione navetta a orari è comunque scomoda perché lascia una libertà fittizia ed è costosissima contro ogni ragione in quanto a mio parere dovrebbe essere un servizio gratuito! Insomma la sensazione è quella di essere spennati ad ogni piè sospinto, e non è una sensazione piacevole. Mi chiedete se ne valeva la pena? Sì ne valeva la pena, almeno una volta nella vita. Sì, giusto una volta... siamo mica Onassis...

lunedì 30 agosto 2010

Tramonto australe


venerdì 27 agosto 2010

Andiamo a vivere a Sydney?


Sydney è semplicemente una città in cui vivere, se solo non fosse maledettamente agli antipodi. Ora capisco perché sia stata più volte premiata come una delle città più belle e vivibili del mondo. La baia ha un fascino irresistibile, il vecchio quartiere The Rocks ha il sapore del passato, si respira cultura cosmopolita e il clima è decisamente gradevole. Ma ciò che colpisce sono le proporzioni del cuore cittadino, le distanze sono perfettamente calibrate, né troppo grandi da sfiancare né troppo piccole da annoiare. Tutto si raggiunge a piedi attraverso piacevoli passeggiate. Sydney è rilassante come un piccolo centro di mare e attraente come una grande metropoli. Camminare per strada non è rischiare la vita come a Pechino e nessuno sputa per terra. Dopo più di un anno in Cina, assistere al miracolo di un auto che cede il passo al pedone sulle strisce ha fatto vibrare le corde del mio cuore. Sydney: un ritorno alla civiltà! E poi il clima eccezionale! Siamo in Agosto, in pieno inverno, e la città pullula di australiani in maglietta e infradito, il che per me equivale a doppia felpa col cappuccio e calzettoni di lana… Ma sempre meglio del piumino lungo e degli stivali col pelo di pecora che mi tocca indossare durante il glaciale inverno pechinese! Certo per vivere a Sydney bisogna avere un fisico bestiale, o bere molto vino, perché anche d’inverno i locali e i ristoranti sono all’aperto. Ma siccome tutti, ma proprio tutti, fanno sport, vanno in bici e corrono nei parchi, non hanno bisogno della maglietta della salute per mangiar fuori (a differenza della sottoscritta). Sydney offre ampi spazi verdi come il meraviglioso Botanic Garden con vista sull’Opera House, dove si possono incontrare pappagalli, strani uccelli dal lungo becco ricurvo e spose in bianco. Il posto migliore per mangiarsi un bel panino col salami, che del salame ha solo il nome, pure storpiato. Oltre a tanto verde Sydney ha tanta storia, che detto di una città australiana fa un po’ sorridere. Tuttavia se si vuole assaporare un po’ di atmosfera dei tempi della conquista europea, una tappa obbligatoria è il quartiere The Rocks con i suoi vecchi ed eleganti edifici coloniali. Abbiamo dato un’occhiata al pittoresco mercatino del sabato e poi visitato Susannah Place, un edificio a schiera del 1844, composto da quattro case e una drogheria, trasformato in museo. E’ un posto difficile da scovare, ma semplicemente un gioiello architettonico che testimonia, con tanto di arredo d’epoca, la vita della classe operaia. Mi è piaciuto da morire. Sydney è una città a misura d’uomo, e anche di bambino. Alice, superato il primo trauma della carne di canguro nel piatto, ha affrontato con grande grinta questa avventura australiana. Ormai è una veterana del viaggiare e in ogni occasione ha trovato il modo di divertirsi. La tanto bislacca fauna australiana ha gridato all’estinzione pur di fuggire alle sue molestie. Ogni animale dotato di moto proprio è stato ripetutamente rincorso e oltraggiato, fatta eccezione per gli spaventosi squali che nuotano volando sopra la capoccia dei visitatori nell’impressionante vasca-tunnel dell’Acquario di Sydney. La passione di Alice per gli animali si accompagna a quella per il teatro. Allora quale migliore occasione per assistere a uno spettacolo se non all’Opera House di Sydney? Posti in prima fila per una danza aborigena rivisitata in chiave moderna dalla compagnia teatrale Bangarra. Unico inconveniente? Ora Alice balla come un’iguana indemoniata del deserto… L’ultima sera a Sydney, quindi, si è conclusa alla grande nel teatro-conchiglia e ci ha proiettati mentalmente nel deserto rosso australiano, nostra prossima meta. Sul volo in partenza per Ayers Rock, sorvolando Sydney le parole di Alice sono state: Oh che bella città! Come mi piacerebbe viverci! Siccome però confonde Sydney con Disney, ancora non è chiaro dove voglia andare a vivere.
Del resto sono confusa anch’io…