domenica 31 ottobre 2010

Ma dove vai bellezza in bicicletta

Finalmente ho visto Pechino da una nuova prospettiva, in sella a una bicicletta. Finora ero stata scarrozzata da ValenCina sul portapacchi, con sommo disappunto del mio fondoschiena. Ma giovedì, avendo sotto gli occhi la scarcassata bici di Andrea - ruote a terra, due dita di polvere e niente lucchetto - una scintilla è scoccata nella nostra testa. Inforcate le bici ci siamo lanciate alla conquista della Cina, ma dopo tre pedalate il terrore di morire mi ha tradito. Il fatto è che il sellino della bici di Andrea era a circa due metri dal suolo, il che mi impediva non solo di toccare terra coi piedi ma di pedalare fiduciosa nel futuro. Quindi al primo biciclettaio mi sono fermata, o meglio sono carambolata giù dalla bici, col preciso intento di abbassare a livello pavimento quel maledetto sellino. Merita qui un cenno la figura sociale del biciclettaio di Pechino. Sarà capitato a tutti di avere i pneumatici sgonfi, i freni guasti o il cavalletto che fa cilecca. Di solito è una bella scocciatura perché bisogna trascinare la bici fino al negozio di riparazione più vicino, oppure acquistare il pezzo di ricambio e procedere con una laboriosa, sporchevole e talvolta inutile quanto disperata operazione di riassemblaggio. Io, che a malapena riesco a gonfiare le gomme, di solito confido nella preghiera. A Pechino è tutto più semplice, come per tante cose del resto. L’omino riparatutto è appostato agli angoli delle strade, nei vicoli, agli incroci principali, ma anche in quelli secondari. Si piazza col suo carrettino degli attrezzi, la chiave inglese, il pappagallo, brugole per tutti i gusti… e poi pezzi di ricambio come sellini, freni, pedali, lucchetti, cestini, caschetti, persino seggiolini per bambini. La competenza dell’omino spazia dalla riparazione della bici alla duplicazione delle chiavi di casa, passando credo per qualsiasi mansione che richieda l’uso di un cacciavite. Probabilmente l’unico dettaglio mancante è una regolare licenza di lavoro, ma in una città piena zeppa di biciclette, tricicli e carretti, chi volete che se ne accorga. Il biciclettaio solitamente indossa una tuta il cui colore si è perso sotto gli strati di grasso per catene. Lo stesso vale per il colore della sua pelle. Nonostante tutto però, la sua sporcizia mista a saggezza è apprezzata da molti, infatti il crocchietto di amici che si affollano attorno a lui è sempre folto. Andare dal biciclettaio è un ottima occasione per farsi degli amici o per esercitare il cinese, quindi anche noi ci siamo unite al crocchio. Buttandola in caciara, l’omino ci ha offerto gratis la sua manodopera (almeno così ci è parso di capire).
Una volta domato il sellino della bici, ci siamo finalmente lanciate per le vie della città, alle calcagna di un vecchietto che sul pianale del suo carretto trasportava coniglietti in gabbia ormai schizofrenici e pesci rossi nella boccia di vetro. Al ritmo di ogni pedalata l’acqua della boccia schizzava fuori e i pesci oscillavano pericolosamente da sinistra a destra, nella speranza di lasciar presto questo mondo. Siccome, a dispetto di ogni legge scientifica, i pesci non venivano catapultati sull’asfalto, lo spettacolo ha perso interesse e abbiamo accelerato l’andatura lasciando il vecchietto al suo destino. Lungo la via molti occhi increduli ci guardavano: che le biciclette esistano anche in Occidente? Una dura verità da accettare… Giunte a casa di ValenCina e restituita la bici al legittimo e inconsapevole proprietario, non restava altro da fare che “acquisire” una bici tutta mia. La procedura di acquisizione consiste in: 1)recarsi nella cantina dove sono accatastate centinaia di biciclette 2)procedere a tentoni al buio sperando di toccare solo cose inanimate 3)scegliere una bici dall’aria abbandonata, il che equivale alla presenza di una stratificazione carotabile di polvere e ragnatele 4) prelevare l’oggetto (se necessario tagliare la catena) e andare via fischiettando con l’aria di chi pensa ”Beh, cosa c’hai da guardare, mai visto una bicicletta?”. Avendo poco tempo a disposizione, ci siamo fermate alla fase 5)lavare la bici nella vasca da bagno. Fase che comporta qualche spiacevole conseguenza in termini di tracimazione di acqua nera sul pavimento del bagno. Ma che volete, inconvenienti del mestiere. A proposito stiamo pensando a una rivendita con spedizione all’estero, qualcuno è interessato?

mercoledì 27 ottobre 2010

Milano is burning


la Frangetta
Durante le spedizioni conoscitive di Pechino, io e la bella ValenCina ci siamo imbattute nel mercato della zona di Xidan. Pare che sia frequentatissimo dai giovani cinesi e in effetti a parte qualcosa di veramente trash, gli abiti sono abbastanza indossabili. Solleverei solo qualche obiezione nei riguardi della frangetta posticcia di ValenCina, scovata, appunto, nel reparto “bellezza” del suddetto mercato. Che dire, sono piuttosto contrariata per la mancanza di una frangetta bionda. Scusate, ma io come faccio? Altro articolo interessante sono le ciglia finte, ma ci sfugge la regola per cui dovrebbero miracolosamente rimanere attaccate alle nostre misere palpebre occidentali. L’unico metodo è quello di non sbattere le palpebre, metodo efficace ma di improbabile attuazione. Tanto ormai le folte ciglia cinesi sono finite in mano ad Alice, quindi irrimediabilmente perse. Una perdita non grave, tutto sommato.

giovedì 14 ottobre 2010

Cinesi si nasce o si diventa?

Un paio di giorni fa io e ValenCina, la mia nuova compagna di avventure pechinesi, abbiamo esplorato un mercato cinese, cinesissimo. La versione fatta da cinesi per cinesi del turisticissimo Silk Market. Basta con questi centri commerciali per occidentali, dove la contrattazione parte da prezzi ridicolmente alti per poi, dopo grande fatica e sudore, arrivare a pagare un prezzo pari a un decimo di quello iniziale. La soluzione è addentrarsi nei meandri dei mercati cinesi, dove nessuno parla inglese e non si vedono occidentali nel raggio di chilometri. Così, a cavallo di una bicicletta pechinese, siamo partite col nostro intento di integrazione col popolo locale. Merita qui un cenno il nostro mezzo di locomozione. La povera ValenCina ha, diciamo così, sbadatamente perso ben due biciclette nel giro di un mese, e si è così ritrovata, suo malgrado, a prenderne una terza in prestito. La bicicletta, coperta da uno strato di polvere millenaria, è stata sottoposta a lavacro purificatorio nella vasca da bagno, e poi restituita alla sua completa funzionalità con la sostituzione di un pedale alla rispettabile cifra di 4 yuan (circa 40 centesimi di euro). Poi per attutire quell’ arroganza tipica delle cose in buono stato, la mia amica ha pensato di cinesizzare la bici: un bel sacchetto di plastica a fasciare il sellino e pezzi di cartone nel portapacchi sul retro…et voilà, il gioco è fatto, l’aspetto da catorcio è restituito in tutta la sua crudezza! Quindi, lei ai pedali e io sul portapacchi (e sui cartoni) siamo partite alla volta del mercatone cinese. Non ho più le chiappe di una volta, quando passavo intere estati sulla canna o sul manubrio delle bici dei miei amici. Tuttavia, mantenendo un equilibrio seppur precario, siamo giunte sane e salve a destinazione, sfidando il traffico più disordinato e caotico che si possa immaginare. Il trucco è andare contromano lungo le piste ciclabili, evitando attraversamenti di incroci mortali. Certo, si rischia un frontale con i tricicli elettrici che trasportano ammassi di 6 metricubi di robaccia, ma perlomeno si ha il tempo di schivare il pericolo. Comunque, una volta sfidata la morte, ci si ricompone, si lega la bici a un palo e la si saluta come se fosse l’ultima volta, con un misto di apprensione e rassegnazione. Il mercato cinese è un’accozzaglia di prodotti di ogni genere, ammassati disordinatamente su bancarelle semicoperte o al chiuso. Si trova dall’imbottitura per materassi al canarino in gabbia, dal pesce fresco alle borse in similpelle, dalle stoviglie alle matasse di lana. Diciamo che i prodotti incontrano più i gusti cinesi che non quelli occidentali ma, come in tutti i mercati, scavando, scavando, tra tanta cianfrusaglia si scova il tesoro. Non si sa mai che possano servire una mazza da baseball, o una parrucca, o delle chiappe di silicone (tra l’altro utili come paracolpi in bicicletta)… Se non altro è sicuramente spassoso gironzolare nel mercato, che peraltro è gigantesco. Il nostro processo di integrazione ci ha portate a pranzare con la frittella di verdure e la famosa patata dolce arrostita. Al termine della full immersion cinese, grazie a Dio la bici era ancora al suo posto. Così, col potente mezzo, ci siamo dirette verso lidi più familiari, il Carrefour, o Jialefu, se preferite, dove abbiamo dato prova di perfetta cinesizzazione. Qui la mia amica ha comprato provviste utili a ricoprire il fabbisogno nazionale in caso di carestia, incurante del fatto di possedere una bici e non una station wagon. Ma in Cina tutto è possibile e tutto si avvera. L’obiettivo era quello di raggiungere la bici sotto casa mia fuggendo col carrello della spesa carico fino all’orlo. Manovra vietatissima che mi è riuscita solo una volta con mia sorella, complice il buio della notte. Invece, con ValenCina la missione è fallita e siamo state beccate. Urla disumane ci hanno indotte a fermare la nostra folle corsa ma poi, due parole in cinese e un po’ di caciara all’italiana, e il crudele guardiano del Carrefour si è intenerito e ci ha accompagnate fin sotto casa per poi riprendersi il carrello. Servizio a domicilio e gratuito. Non restava che caricare la bici con un enorme scatolone di cartone o meglio, sotterrare la bici con la spesa. Operazione che ha richiesto grande dispendio di tempo ed energie ma che è andata a buon fine. Sommersa dalla pasta, il tonno in scatola, lo spazzolone per lavarsi la schiena, il bagnoschiuma , la carta igienica e le verdure, la mia amica ha raggiunto vittoriosa i lidi domestici, scongiurando il pericolo che il cartone si squarciasse seminando di ogni ben di Dio le strade di Pechino. Tutto è bene quel che finisce bene.

mercoledì 13 ottobre 2010

Sano blues

Auguri a mia mamma e mio papà per i primi 36 anni di matrimonio!

Oggi mi affligge un sano blues. Dopo la solita lezione di cinese sono stata a pranzo con la mia Cai laoshi. E’ così amabile e carina! Forse la migliore insegnante che ho avuto, e ne ho cambiate sette! Non fosse altro perché con lei mi sento talmente a mio agio che parlo, parlo, parlo e non la smetto più. Lei, con la pazienza di un frate trappista, mi ascolta, cerca di capirmi e ride (non di me, almeno spero). Oggi, in una sorta di confessione alla De Filippi, mi ha dichiarato grande stima in quanto pare io sia un’ottima allieva. Le credo, sono portata a credere ciecamente a chi fa complimenti indiscriminati alla mia intelligenza! Poi, quando le ho comunicato la mia partenza a fine anno, anche se non così imminente, si è un po’ rabbuiata… Ha cominciato a implorarmi di continuare a studiare il cinese anche in Italia. Ed io ho cominciato a pensare che ormai siamo agli sgoccioli, tra un paio di mesi, tre al massimo, lascerò la Cina. Come farò a lasciare questa vita? Per esempio, anche quel cinese, Dio lo benedica, che ora sta ciondolando come un pendolo, appeso a una corda a più di 30 metri di altezza, solo per pulire le finestre di casa mia, anche lui mi mancherà… Come si fa a lasciare tutto questo?

giovedì 7 ottobre 2010

Al lavoro con papà


Ieri Mauri si è alzato dal letto con un’idea balzana nella testa: Oggi porto Alice con me al lavoro! Stai scherzando? A quanto pare non scherzava, visto che lo ha fatto sul serio. Io non ho opposto molta resistenza, dato che ho un raffreddore da carta igienica (nel senso che i fazzoletti non bastano). Così, zainetto in spalla e tanti buoni propositi, Alice è uscita con papà per andare al lavoro. A quanto pare il quarto d’ora di buone maniere non è stato disatteso: Alice ha ritagliato, disegnato, colorato, come si conviene alle brave bambine in visita all’ufficio di papà. Quando da piccola andavo in banca con mio papà, mi fotocopiavo le mani… che altro potevo fare? Ma se si presentava l’occasione di entrare nel caveau… non stavo più nella pelle! Anche se alla fine non ho mai visto lingotti d’oro.
Alice ha prima scarabocchiato un po’ di fogli e poi ha gironzolato un po’ tra i colleghi, fino a quando all’una non è arrivata la mamma guastafeste… Siamo usciti per il pranzo nel vicino hutong, da Maria la sucida, succursale cinese della nota locanda genovese. Che posticino! L’unico strumento usato per pulire il pavimento è un vecchio cagnolino che come un aspirapolvere cattura il cibo caduto dai tavoli prima che tocchi il pavimento. Per il resto tavoli senza tovaglia, puliti col solito straccetto umido e grigio. La Cina è la patria degli straccetti umidi e grigi. Tutte (ma proprio tutte le ayi) sia a casa che nei locali pubblici, adorano accarezzare lo sporco con questi straccetti, disponibili in tutte le tonalità di grigio. A volte avrei piacere che lo sporco rimanesse sul tavolo, piuttosto che assistere al passaggio dello straccetto che, non solo non pulisce, ma aggiunge una patina umidiccia al desco, e mi tocca aspettare che si asciughi prima di appoggiare i gomiti, seppur con riluttanza. Comunque se devo scegliere tra lo straccetto e il mocio, scelgo lo straccetto. Niente è più ributtante che essere nei paraggi di un cinese che stia maneggiando un mocio, il quale (mocio) di solito ha visto l’acqua fresca solo una volta nella vita. Il mocio viene agitato disordinatamente e dissennatamente sul pavimento, di solito lordo di ogni nefandezza. Bisogna stare all’occhio, perché l’uomo col mocio non guarda in faccia a nessuno, soprattutto al Carrefour, reparto carne e pesce, dove, per qualche strano fenomeno naturale tutti i liquidi che furono vitali e gli umori animali percolano sul pavimento formando un sottile strato vischioso e scivolosissimo. Questa cosa, tutta cinese, di avere i pavimenti sempre bagnati proprio non la capisco. Sarebbe molto più semplice evitare di macellare carne e pesci davanti a tutti come fossimo al mattatoio e tutto sarebbe mantenuto lindo e pulito e... molto più noioso. Ecco perché il signore col mocio assume un ruolo sociale importantissimo, evitando paralisi certa o vertebre incrinate a sprovveduti clienti come me che, accidentalmente, potrebbero scivolare sul sangue di una tartaruga appena decapitata. Resto dell’idea che preferisco la paralisi al mocio zozzo e bagnato sul piede con infradito.
Comunque, tornando a noi, (ammetto di avere un po’ divagato) in un certo senso sono grata alla signora Maria che non conosce mocio. Il cibo comunque è molto buono e si è speso 4 euri in 4. Ah, questa sì che è Cina!

Cinesi fake


Il 22 settembre si festeggia la Festa di mezzo Autunno e così rieccoci, come lo scorso anno, a mangiare i dolcetti della luna. Ma questa volta io e mia sorella, nonché Alice, siamo entrate pienamente nella parte. Come perdere una tale occasione di travestirci da cinesi? Certo, l’effetto mimetico è discutibile, il qi pao è più aderente di una muta, le cuciture cedono a ogni respiro e i bottoni saltano ad ogni risata… ma ci siamo divertite lo stesso.

Acrobazie cinesi


Anni e anni di allenamento, mica sono una dilettante io.

Mama e meimei a Pechino


In un batter d’occhi si sono volatilizzate le due settimane orientali di mamma Rosa e sorella Vale. Non c’è due senza tre, direbbe zia Vale… Infatti per lei era la terza volta in quel di Pechino, ma per nonna Rosa è stata la prima. Prima volta per tutto, direi: prima volta in aereo, prima volta in viaggio senza nonno Adri, prima volta al ristorante con le bacchette, prima volta a 8000 km da casa. Insomma un’avventura con la A maiuscola, da cui nonna Rosa è uscita un po’ frastornata ma incolume... Le visite di rito includevano Città Proibita – Piazza Tien’an men - Palazzo d’Estate – Tempio del Cielo – lago Houhai – Torre della Campana e del Tamburo - mercatino di Panjiayuan – 798 – Quartiere Olimpico - Grande Muraglia con scivolo annesso, e così via… Giro turistico al completo, poco shopping e molte scorpacciate: cinese – giapponese – tailandese – vietnamita – iraniano e ovviamente italiano! Infine il sommo sollazzo: il massaggio ai piedi e il massaggio cinese. Quest’ultimo, fatto col pigiamino, è a metà strada tra la tortura e la goduria ma, una volta accettato il dolore, non è niente male.

domenica 3 ottobre 2010

Outing


Alice e Francesco, l'animale.
Parecchie settimane or sono, mamma azienda ha regalato a dipendenti, consulenti, figli e consorti un grazioso weekend fuori porta, nella verde campagna pechinese. Ora il fatto che lo abbia chiamato Outing 2010, non significa che ognuno di noi sia stato costretto ad ammettere la propria omosessualità. Resta il fatto che ognuno di noi ha dovuto cimentarsi in qualche abilità nel tentativo di socializzare e amalgamare le due simpatiche metà Italia-Cina. Per quanto mi riguarda ho dato il meglio di me nel 乒乓球, uno dei più amati sport nazionali cinesi. Mentre accanto a me si svolgevano partite di badminton all’ultimo sangue con tanto di gara ad eliminazione, altri colleghi italiani si sfidavano a basket usando una palla di piombo che più di una volta è atterrata sul tavolo da ping pong mettendo a repentaglio la nostra stessa vita e decretando, in modo non troppo sportivo, vincitori e vinti. Sopravvissuti a questi sport estremi siamo stati premiati da un barbecue all’aperto a bordo piscina. Carino, non fosse stato per il cibo, troppo cinese per essere chiamato barbecue, e per il buio che impediva di vedere il contenuto del proprio piatto… ma forse meglio così. Se poi si aggiunge che le uniche posate a disposizione erano i famigerati bastoncini, affrontare la cena al buio si è rivelato un combattimento all’ultimo schizzo. Merita qui un cenno la cucina cinese. Per l’intero weekend abbiamo ovviamente mangiato cinese, e non lo dico con molto entusiasmo. Quando i cinesi vogliono far apprezzare la propria cucina mettono in tavola, a tutto vantaggio dell’amato ospite occidentale, le migliori specialità che vanno dall’intestino crasso del maiale al lumacone di mare. A pranzo Alice, ridacchiando, offriva ai commensali italiani inorriditi, zampe di gallina bollite, pescate da un intruglio brodoso non troppo allettante. Tra l’imbarazzo e la nausea l’80% delle portate sono rimaste intoccate. Una collega cinese ha notato, con certo raccapriccio, che a noi italiani piace mangiare l’anguria a colazione (aggiungerei: soprattutto quando si è digiuni dal giorno prima e in tavola non ci sono né brioches fragranti né fagottini alla Nutella). Ora, non vorrei essere polemica, ma la tal collega storceva il naso di fronte all’anguria mentre assaporava con ostentata disinvoltura un uovo sodo nero e grigiastro! Adesso, capisco che cuocere le uova nel the sia una sopraffina tradizione culinaria cinese, ma vi assicuro che, a guardarlo bene, l’uovo nero appare, in tutto e per tutto, un uovo marcio! Quindi è proprio vero, de gustibus
Il dopo cena del sabato era dedicato ai tipici divertimenti cinesi: il bowling e il karaoke (o per dirlo alla cinese il KalaOK). Dopo un sabato all'insegna dello sport, la domenica mattina , come da programma, siamo stati a raccogliere le pesche nella campagna circostante. Esperienza carina, non fosse stato per i 40° all’ombra. Per la verità di pesche neppure l’ombra, quindi ci siamo dovuti accontentare di uno strano frutto, incrocio tra una mela e una pera. Ho però imparato che le noccioline, quelle americane che si mangiano al cinema, non crescono nei sacchetti, ma sotto terra. Lo sapevate? Tra l’altro anche il prezzo è salatissimo. La saggezza culinaria cinese vuole che prima di essere mangiate vadano tostate in un grosso recipiente ricolmo di sabbia. Un tantino complicato da fare in casa, resto dell’idea di andare al Carrefour.

venerdì 1 ottobre 2010

61°


Mao magnanimo vi augura un buona festa della Repubblica Popolare Cinese.