domenica 29 novembre 2009

Le buone cose di pessimo gusto?

Eccoci qua, alla vigilia della partenza. Mi sto ancora asciugando il sudore per la fatica di aver chiuso l'ultima valigia. Stavolta, a differenza del viaggio di andata, non è stato complicato scegliere cosa buttare in valigia. Semplicemente TUTTO. Ok, i mobili no, quelli non sono di nostra proprietà, e neppure il televisore... Ma vi assicuro che il volume e il peso del nostro bagaglio di domani fanno pensare piuttosto a un faticosissimo trasloco, che a un viaggio di piacere! Otto mesi della nostra vita sono chiusi in 3 valigioni enormi, 1 zaino, 1 zaino da campeggio, 1 borsa a tracolla e una borsetta. E non parlo di otto mesi normali... perchè in otto mesi, in Cina, si possono accumulare chincaglierie di ogni genere e per ogni gusto (di solito pessimo). In effetti, tra maglioni e mutande, nelle nostre valigie fanno capolino le cose più strane. Lattine Campbell's di noodles, borse Louis Vuitton ripiene di calzini, stivali viola, teste di legno, pupazzi pelosi, un cuscino rosa grosso come le mie chiappe. Il milite ignoto della Guardia Rossa è finito a testa in giù nello zaino: vilipendio alla nazione. Insomma, in quanto a sfizi non abbiamo badato a spese. Ora, però, dobbiamo fare i conti con la nostra prestanza fisica. Quante mani occorrono per trasportare il suddetto fardello, se poi al tutto aggiungiamo il passeggino, l'immancabile bambina e l'imperdibile violino cinese per mia sorella? Non solo, quale mezzo per l'aeroporto? Bene, siccome una station wagon costa come una limousine, si è optato per il catorcio e vecchio amico taxi. Ma non uno solo, troppo facile. Per un trasloco in piena regola, ponderato il mastodontico bagaglio, due taxi! E così domattina comincia l'avventura italiana. Mi armerò di buon umore e tanta pazienza per far capire ad Alice che non può entrare in quella valigia, grossa come lei. Perchè è già piena.

venerdì 27 novembre 2009

C’hai l’ayi?

Oggi giornata dalle mille emozioni per Alice! Da verace mamma italiana, ho fatto alla maestra mille raccomandazioni, che potevano sembrare minacce di morte, dopo l’avventura delle allegre sforbiciate di ieri. Tuttavia, seppur col cuore in mano, ho lasciato la mia bambina alla sua prima gita scolastica, con tanto di pulmino. Mancava solo il walkman e il gioco della bottiglia. Roba dei miei tempi. Destinazione Planetarium di Pechino. Ovviamente non so nulla di come sia andata perché Alice è muta come una sfinge. Ma è tornata a casa sana e salva. Al giorno d’oggi è già qualcosa. Forse più tardi riuscirò a strapparle un raccontino… Ora è troppo impegnata a giocare con la sua nuova ayi, Xiao Zhou! Ebbene sì, ci siamo omologati. La mia amica italiana me l’ha ceduta in cambio della promessa di un aumento salariale della paga oraria, che è passata da 11 a 15 yuan. Ma ci pensate? Pago una babysitter 1 euro e mezzo all’ora. Siamo al limite della schiavitù. Non nego che me ne vergogno. Ma mi sono informata e questi sono i costi per una ayi che non parli inglese. A proposito di lingua. E’ da elogio lo sforzo comunicativo della cara Zhou che ha imparato a dire “cacca” e lo urla ai quattro venti. Tenera.
In diretta ciò che accade nell’altra stanza:
- rumore di sciacquone (bene, si evacua anche in mia assenza)
- risate (sempre buon segno)
- sproloquio in finto cinese (è Alice)
- frasi in vero cinese (è Zhou)
Come inizio niente male.

giovedì 26 novembre 2009

Mente diabolica

Allora non ci siamo spiegati. Non è bastato lo scalpo, ora siamo passati alla stoffa!
Cara Maria Montessori, va bene che i bambini ti implorano “aiutami a farlo da solo” e guai a non ascoltarli… Ma mi lascerai obiettare che le intenzioni diaboliche vanno prevenute e osteggiate. Santo cielo, ‘sti bambini possono diventare adulti responsabili anche maneggiando forbici di plastica e non affilate cesoie con cui sforacchiare, tritare e tagliuzzare l’uniforme scolastica…che poi mi tocca pure ricomprarla! Ho un diavolo per capello, le mie manine di fata hanno perso ore preziose a “ricamare” il nome di Alice su quello che ora è uno straccetto blu tutto sbrindellato!

She is very smart! E’ stato il divertente commento di Lily.
Non so se ridere o piangere.

mercoledì 25 novembre 2009

Shopping con furore

Non mi riconosco. M’è presa la smania dell’accatastamento, la sindrome del nido, la fobia della carestia, la paura del vuoto. Non faccio altro che comprare all’impazzata in vista del rientro in Italia. Regalino per questo, pensierino per quest’altro, e a quello là non gli portiamo proprio niente? E poi sto rifacendo i nostri guardaroba per i prossimi vent’anni. Ho comprato ad Alice, per soli 7 euri un piumino 6-7 anni, dovesse crescere in fretta… Insomma ‘sta Cina fa male al portafoglio… D’altra parte ho chirurgicamente affinato le mie capacità di contrattazione, vado al sodo, poche ciance, I live in Beijing, sbiascico due parole di cinese, Duo shao qian? e di solito ottengo il prezzo. Ma a che prezzo! Scelto l’oggetto della contesa si aprono i giochi. Le due rivali, la sottoscritta e la cinese, partono all’attacco. Si intavola un’estenuante guerra psicologica in cui ci si agita, ci si accapiglia, ci si prende in giro, don’t joke. Di solito, dopo cinque minuti di battaglia, mi tolgo la giacca. Dopo dieci il maglione. Sudo sette camicie e alla fine qualcuno cede, e non sono io.
Aspettatemi. Comparirò al vostro cospetto nelle vesti di una pazza Babba Natale.

lunedì 23 novembre 2009

Celo, celo... mi manca

Tra pochi giorni, dopo otto lunghissimi mesi di esilio potremo baciare la terra natia. Non sono mai stata così lontana da casa e per così tanto tempo. Rigenerante e fertile, un’esperienza che va provata, persino dai più nostalgici aggrappati al Tricolore.
Non nego che mi manchino un sacco di piccole cose, di grandi emozioni legate alle persone e ai cibi (ci risiamo!) che ho lasciato. Farmi una sana risata con un’amica di vecchia data. Sbafarmi una coppa gelato. Le paste della domenica a pranzo. Una lenta passeggiata sul viale. La cioccolata calda con la panna. Un the del pomeriggio tra mamme e bambini. L’aperitivo in piazzetta con i nonni. Una torta di compleanno con la panna e le candeline. Il cinema, sì il cinema mi manca da morire. La farinata di Puppo. Le caldarroste, anche se non è più stagione. La spiaggia di Alassio in inverno. Le melanzane alla parmigiana di nonna Rosa. Incontrare amici per strada, per caso.
Non vedo l’ora.

domenica 22 novembre 2009

Italian noodles

Sono entrata nel trip italiano. Ormai vedo l’Italia dappertutto.
Al supermercato del 7° piano vendono il panettone e il pandoro. Ma ci pensate? Nel Jing Guang Centre siamo cinque italiani in tutto, ne deduco che il rinomato dolce milanese sia solo per noi, peraltro alla modica cifra di 210 yuan… una fucilata! Comunque fa sempre piacere scovare prodotti nostrani: quando sono in grado di leggere l’etichetta di un prodotto mi si scalda il cuore. Poi mi torna di pietra quando vedo il prezzo, che è sempre dieci volte più alto rispetto a un analogo prodotto cinese. Così compro i jiaozi al posto dei ravioli, semplice no? Certo non li condisco col ragù…
A proposito di sugo. L’altro giorno Lynn è venuta da me per la lezione di cinese e, nella solita pausa dopo la prima ora, mi ha chiesto se cucinassi mai nella mia cucina. Of course, non penserai che mangi al ristorante tutti i giorni! Mi ribatte dicendo che sembra una cucina inutilizzata, che le cucine cinesi sono sempre piene di oggetti. Ossia, zozze e incasinate. Allora, per dimostrarle che l’uva sul tavolo non è di plastica, le mostro i cibi italiani: il pesto, il sugo Barilla, il parmigiano, l’olio di oliva, gli gnocchi, i pelati... E qui, tronfia del mio sapere, nell’unica occasione in cui la mia arte culinaria non potrà essere confutata, sfodero la mia saggezza ai fornelli e mi lancio in una disquisizione sulla cucina italiana. Piroettando tra il frigo e la dispensa, le snocciolo i nomi di (quasi) tutti i tipi di pasta, maccheroni, fusilli, spaghetti, farfalle, ditalini, tagliatelle, tagliolini e via dicendo. Poi mi cimento in un’accorata analisi del processo di cottura della pasta, dalla fase della bollitura, al buttalapasta, al colalapasta, per finire col mettici il sugo e gratta il formaggio. Sì, l’acqua va tolta, le rispondo con materna comprensione. Ma la mia coda di pavone si affloscia in un istante al suo lapidario commento: cook italian noodles is very simple! Non come la cucina cinese, così laboriosa, complicata, dai lunghi preparativi.
Vallo a dire all’Artusi.

venerdì 20 novembre 2009

Andare a 350

Eccomi di nuovo qua, questa volta realmente sull'alta velocità cinese, dopo aver lasciato per l'ennesimo week-end Paola e Alice a un migliaio di km, nella gelida ma confortevole capitale.
L'aerodinamico treno giapponese accelera inesorabilmente tagliando l'innevata terra di mezzo come una lama, che incide il binario veloce e precisa per 8 volte al giorno; solo una piccola ferita di 600 Km però (da Zheng Zhou a Xi'An), paragonata alla vastità della Cina.
E' una sensazione strana andare a 350 Km/h, le cose scorrono velocemente là fuori, mentre dentro sembra tutto al rallentatore, si fluttua in un tepore confortevole, ma non sembra di essere in ufficio, perchè le vibrazioni dei computer sulle scrivanie installate ci ricordano che siamo sopra un missile che solca le campagne cinesi.
E tra dirigenti che sonnecchiano in prima classe dopo il pranzo, ferrovieri che schiamazzano fumando e ingegneri che analizzano armadi colmi di elettronica, c'è un uomo, attento, con lo sguardo fiero e composto, rivolto nella direzione percorsa, non una goccia di sudore, negli occhi si riflettono i binari, a guardarlo bene sembra che il vento gli scompigli appena il piccolo ciuffo di capelli che spunta da sotto il cappello, da macchinista: è lui l'eroe del giorno e ne è consapevole. Sì, lui che sfida le macchine, lui che mantiene il controllo, di sè e del treno. Già, perchè il sistema di bordo che normalmente garantisce la sicurezza è sotto test ora e non può ancora esser collegato al sistema frenante, per cui per il momento guida e frena lui, a vista, a 350 Km/h.

giovedì 19 novembre 2009

Anima latina

Lo sapevo. Le arance erano solo l’inizio. Ora vogliono la mia anima, e per di più la mia anima italiana, se mai ne ho avuta una. Insomma, dicembre sarà il mese dedicato alla Cultura Italiana e la classe avrà un ospite, nella fattispecie “io”, che canterà le lodi del Bel Paese. Cantare è ovviamente un eufemismo, me ne guardo bene. Mi limiterò a rendere concreti quei tipici stereotipi che fanno di noi i migliori: mamma, mafia, mandolino, pizza. Dunque, mamma ok, mafia non saprei, mandolino come il sedere?, pizza… ecco forse possiamo fare la pizza! I bambini vanno matti per la pizza! Che ci vuole? Ecco, che ci vuole? Non so fare la pizza. Non so le dosi dell’impasto, non so quanto devo tirare l’impasto, non so quanto tempo deve cuocere. Ma che italiana sono? E’ la prima volta che me lo chiedo, lo ammetto. Che bisogno avevo di chiedermelo, prima? Ma ora… riflessione scottante. Oltretutto mi spremo e mi sforzo ma non riesco a pensare a qualcosa di tipicamente (e realmente) italiano. Fossi australiana, un bel canguro e un boomerang e piantiamola lì. Fossi cinese due panda bianconeri e siamo a posto. Meno male che non sono francese perché penso solo allo champagne, e non è il caso. Viceversa, pagherei per essere giapponese (of course) per fare un’apparizione in grande stile vestita col kimono. Invece, sono italiana, almeno credo. E devo prenderne atto.
Siccome la prima cosa che mi è venuta in mente pensando all’Italia è stata Berlusconi, ne deduco che ho seriamente bisogno di aiuto.
E non parlo di psicoterapia, come qualcuno potrebbe malignamente pensare.
Ma solo di qualche suggerimento, consiglio, racconto di vita vissuta. Finora, a parte la pizza che imparerò celermente a fare, ho pensato a:

  • foto delle bellezze italiane (non donne): il Colosseo, la torre di Pisa, Venezia e le gondole…
  • la fiaba di Pinocchio, raccontata non so come (probabilmente a gesti)
  • immagini delle maschere, Arlecchino, Pantalone, Pulcinella… (lo so il kimono è più bello)
  • il Girotondo? La bella lavanderina? Alla fine ‘sti bambini hanno 3 anni…

Forse l'italianità è dove meno ce la aspettiamo.
Oggi, all’uscita da scuola, due
ayi facevano la maglia.
Molto italiano.

domenica 15 novembre 2009

Arancia meccanica?


Arancia meccanica, ossia arancia della tortura. Mi spiego. Come ricorderete la scuola di Alice è foriera di Peace&Love ed applica la sua filosofia con certosina e direi crudele sistematicità. Destino vuole che a rotazione ogni bambino porti in dono alla classe frutta e fiori freschi. Un bel pensiero, poetico, educativo, giusto. Peccato che la frutta deve essere per TUTTI i bambini, per TUTTA la settimana. Ergo: una valanga di frutta per un peso di una tonnellata e nel numero di 78 frutti in toto. Quando, timidamente, ho avanzato l’ipotesi di portare ogni giorno il fabbisogno quotidiano, terrorizzata dal peso della sporta assassina, mi è stato detto no, tutta lunedì, più comodo! Avrei voluto contestare, ma la contestazione in Cina non sempre porta buoni frutti, è il caso di dirlo. Così ieri mattina, la nostra famigliola si è spinta nella morsa del gelo in un mercatino cinese dietro l’angolo e, sotto lo sguardo incredulo del fruttivendolo, ha accaparrato l’equivalente del fabbisogno nazionale di vitamina C. Sarà educativo, sarà poetico, sarà giusto ma ho rischiato l’amputazione della mano destra per ibernazione.
Ora il frigorifero straripa di agrumi e frutti del peccato. Almeno c’è un buon profumo!
Domattina, mentre voi sarete tra le calde braccia di Morfeo, io farò la giocoliera con 13 banane, 13 arance, 13 pere, 13 mele rosse, 13 mele gialle, 13 mandarini, 2 mazzi di garofani e 1 bambina.
Il tutto andrà trasportato a scuola.
Il tutto andrà preservato dalla spremitura.

Probabilmente nevicherà.

giovedì 12 novembre 2009

La squola

La nostra routine pechinese è ripresa senza troppi scossoni.
Alice è tornata a scuola anche se continua a sostenere che non ci siano il pavimento, il soffitto, i giochi e neppure i maestri, solo i bambini. Insomma una scuola in via dei Matti numero zero. Per fortuna non le credo.
Una scuola di matti, ma molto carina. Quando la mattina lascio Alice a scuola non si può certo dire che faccia i salti dalla gioia, ma quando la vado a riprendere è sempre molto serena e sorridente. Ovviamente a qualsiasi interrogativo su cosa faccia o mangi la risposta sarà sempre “niente”, ma che volete…
La cosa più interessante della scuola è l’analisi sociologica che faccio tutti i giorni all’orario di uscita. Riesco ad astrarmi totalmente, tanto non capisco una parola di ciò che si dice. Cinese? Lasciamo stare, sono solo alla lezione del “Come ti chiami?”. Inglese? Fluente, molto fluente, troppo fluente per me. Quindi interagire è davvero difficile. Come ammazzare quel solito quarto d’ora di anticipo nell’attesa che esca Alice? Mi faccio dei viaggi mentali meravigliosi. La categoria di mamme è decisamente variegata.
La mamma per finta, cioè la sostituta della mamma, ovvero l’ayi è riconoscibilissima al primo sguardo. Si tratta di una figura tipicamente cinese, è la baby-sitter venuta dalla campagna per far fortuna in città. Solitamente è piccola di statura e di carnagione piuttosto scura. A volta un po’ anzianotta, più nonna che mamma. E’ vestita imbottita, perché l’ayi è saggia e sa come combattere il freddo. I bambini accompagnati dalla ayi hanno i pantaloni da neve sotto l’uniforme, quelli per andare a sciare per intenderci. E sono sicura che li indossano anche in classe, perché l’ayi ha detto così. L’ayi va a prendere il bambino con la sporta, solitamente arance e verdure, un sacco di verdure, che fanno bene.
Diametralmente opposto al crocchietto delle simpatiche ayi è quello delle mamme glamour. Uau, sono fantastiche. Vestite a Milano, incarnano il fascino della donna asiatica misto alla dinamicità della donna occidentale. Non credo siano cinesi, piuttosto malesi e hanno più di un figlio. Parlano fluentemente cinese, poi si voltano e continuano in inglese col nuovo interlocutore. Che meraviglia. E non si scompongono neppure col freddo pungente. Di sicuro non si vestono a strati, non hanno l’ombrello e restano glamour anche sotto un metro di neve.
Per finire… ci sono io. Certo non spicco per qualità estetiche, soprattutto in questi giorni di neve. Indosso tutti abiti Silk Market, con le conseguenze del caso: scarpe infradiciate, cappello con pon pon, giacca finto Gore-Tex. Uno scandalo. Per non parlare dei capelli che non taglio da otto, dico otto lunghissimi mesi. Una zazzera informe.

Ayi o glamour? Fate voi…

Andy's soup


Nevica nevica nevica!


Tornati a casa siamo passati dalle maniche corte di Hong Kong ai guanti da neve di Pechino! Non fa che nevicare e io non mi decido a comprare scarpe adeguate. Le mie Puma-fake sono un disastro: spugne assorbenti per la pioggia e ora per la neve… Potrebbero usarmi da spalaneve nelle strade, sono un’idrovora ambulante. Alice poi non ha pietà: all’uscita della scuola si tuffa nelle aiuole piene di neve e gioca a fare neonati di ghiaccio che poi culla amorevolmente. Tanto lei è calda e ben coperta e io mi riduco un ghiacciolo tremante. Ieri, poi, voleva portarsi il neonato sul taxi, l’ho convinta a metterlo a far la nanna sul marciapiede. Che madre orribile.
Ora, mentre aspetto l’insegnante di cinese, mi accingo a cucinare (se scopro come) una zuppa Campbell. Non ho resistito, fa tanto Andy Warhol…

Topoline


Tanto per ammazzare il tempo aspettando il rinnovo del visto… rieccoci tra i pupazzoni di Disneyland Hong Kong!

lunedì 9 novembre 2009

Rosso è bello


Il Fushimi Inari Shrine è stato l’ultimo saluto al Giappone. Semplicemente intrigante. Solo i giapponesi potevano creare un percorso di 4 km nel bosco meticolosamente coperto da una serie interminabile di portali rossi (torii).
Tanto semplice quanto scenografico.
Inutile dirlo, i giapponesi sono maestri del bello.

BabyZen


domenica 8 novembre 2009

E’ tutto oro quel che luccica?


Lunedì fine del diluvio. In compenso pioveva col sole, tanto per non farci esultare troppo. Ad ogni modo siamo riusciti a vedere un Kinkakuji Temple scintillante e magnifico, finalmente illuminato dal sole. Che meraviglia. Forse il mio tempio preferito, tra tanti, semplicemente perfetto. Tutto dorato e sberluccicoso…un vero gioiello rivestito in foglia d’oro.
Il Ryoanji Temple invece era in ristrutturazione e non mostrava la sua cera migliore. Ma il giardino zen era… molto zen.
Nel pomeriggio, con tutta la buona volontà del caso, abbiamo cercato di raggiungere la zona di Arashiyama, ma qualche pinguino ci ha suggerito di cambiare aria. E allora eccoci al Nishiki Market, al riparo dalle intemperie e con gli occhi e il naso pieni dei colori e dei profumi dei cibi giapponesi. Il Nishiki Market è chiamato “la cucina di Kyoto”, ha una storia di parecchi secoli e molti negozi sono gestiti dalle stesse famiglie da generazioni. Cammina, cammina siamo tornati a Gion, il quartiere delle geishe stavolta visto alla luce del sole, o per meglio dire all’ombra delle nuvole. Che dire: le casette di legno, le sale da the, i vicoli, le lanterne: il set di un film sui samurai!
Dopo una cenetta a base di ramen tutti a casa, al calduccio… si fa per dire…

sabato 7 novembre 2009

Un mondo impenetrabile


Quello delle geishe, si sa, è un mondo impenetrabile.
Ma per sbirciare un po’, solo un pochino, basta andare al Gion Corner.
Si assisterà alla cerimonia del the, all’arte dell’ikebana, alla danza delle maiko
Tutto bellissimo e affascinante, soprattutto se gustato in prima fila con i calzini zuppi di pioggia.
Ma è, e resta, solo uno sguardo. Attraverso il buco della serratura.
Noi, delle geishe, continuiamo a non sapere nulla.

Roba d'altri tempi


Due ragazze in kimono conversano amabilmente al ristorante. In che secolo siamo?

Il giorno del Diluvio


La giornata di domenica era iniziata con buone premesse. Un pallido sole (meglio che niente) e la visita alla Sumiya Pleasure House ci hanno messo il buon umore. Il bordello dell’epoca Edo (1600-1867) è incantevole. E’ una delle ultime ageya rimaste a Kyoto nel quartiere Shimabara dove le geishe venivano mandate per intrattenere gli ospiti. Sumiya, fondata nel 1641, è stata dichiarata Bene Culturale Nazionale: è costituita da un imponente edificio di due piani, con una vasta cucina ed una ventina di stanze, tra cui una sontuosamente decorata in madreperla.
Terminata la visita alla Sumiya ce ne andiamo verso il centro accompagnati da nubi minacciose. Poi la catastrofe: prima una pioggerellina grigia, seguita da una doccia continua e incessante che ci ha tormentato fino a sera. Armati di un unico ombrello e di un cellophan per trasformare Alice in un involtino primavera, abbiamo girovagato per una Kyoto disertata dai turisti. Non tutto il male vien per nuocere: vicino al tempio Nanzenji ho scattato foto deliziose alle foglie rosse bagnate dalla pioggia. E consoliamoci così…
Per ripararci dal diluvio abbiamo pranzato in un ristorantino giapponese, menù a base di tofu! Superata l’occidentalissima diffidenza, ci siamo sbafati tutto: mica male ‘sto tofu, ma cos’è?
Nel pomeriggio, sempre sotto una pioggia incessante of course, il Nanzenji Temple ci ha accolto a braccia aperte. Solo ora capisco perché l’estetica giapponese abbia influenzato il Movimento Moderno. Ho trovato, e qui riporto, questa bella riflessione di Frank Lloyd Wright che vive a Tokyo dal 1918 al 1922, e descrive così il suo incontro con la cultura nipponica: "Durante gli ultimi anni trascorsi nell'officina di Oak Park, le stampe giapponesi mi avevano attratto e mi erano state di grande insegnamento. L'eliminazione dell'insignificante, il processo di semplificazione nel quale ero io stesso già impegnato, trovarono una conferma in quelle stampe. E da quando scoprii la bellezza delle sue stampe il Giappone esercitò sempre su di me un intenso richiamo. In seguito constatai che l'arte e l'architettura giapponesi avevano davvero un carattere organico. L'arte dei giapponesi era più vicina alla terra, era un prodotto più autonomo di più autoctone condizioni di vita e di lavoro, quindi a mio avviso si accostava al moderno assai più che con l’arte di qualsiasi altra civiltà europea o tramontata".
Tornati alla dura realtà di una pioggia torrenziale non abbiamo però rinunciato alla passeggiata a Pontocho-dori, dove la sera i locali in legno e le tradizionali lanterne creano un'atmosfera avvolgente in cui rivivere l'antico Giappone. Stavolta la fortuna è dalla nostra: ecco spuntare le geishe. Ombrello aperto in una mano, macchina fotografica nell’altra. Pronta a scattare. Ma quando una geisha vestita di rosso mi sfiora passandomi accanto resto paralizzata: me ne sto lì, come un baccalà sotto una pioggia scrosciante e la guardo passare oltre.
Fascino puro.

Una geisha per amica


Come lumachine, le geishe escono fuori con la pioggia. Ne ho viste tre a Pontocho.
Con gli ombrellini. Di carta, come quelli in cima alle coppe dei gelati, ma più grandi.

Solo loro non si bagnano con gli ombrellini di carta, la classe non è acqua…

venerdì 6 novembre 2009

Per vivere bene


Il Giappone mi ucciderà.
Lo sento, e per questo devo smettere di andarci. Non parlo di pericoli veri, quanto di un lento ma inesorabile logorio dell’animo. Mi piace, mi piace così tanto che mi fa star male. Ormai ho capito che quando calpesto suolo nipponico potrei rinunciare a dormire e mangiare pur di vedere, capire, carpire tutto. Non so rinunciare, il tempo è sempre poco, così mi sale l’ansia. E le ragioni del perché mi piaccia così tanto sono un mistero. In questo ultimo viaggio a Kyoto il destino ha fatto di tutto per remare contro. Diluvio universale, freddo polare, ryokan senza riscaldamento… ma la mia passione per il Giappone non vacilla! E detto da una che sta in calzettoni di lana ad agosto…
Insomma Kyoto è semplicemente affascinante, una città in cui vivere. Casette basse, casette di carta, alberi rossi, templi dorati, giardini secchi, l’università, i sorrisi, la cordialità e le geishe… tutto ciò che serve per vivere bene.