martedì 31 agosto 2010

Profondo rosso


Lasciata Sydney (o Disney se preferite) al suo destino, un volo diretto su Ayers Rock ci ha catapultati nell’infuocato deserto rosso. Purtroppo l’avvicinamento al monolite non è stato lento e graduale attraverso un’avventurosa traversata in auto del deserto come avevamo programmato. Ma visto l’inizio disastroso dell’avventura australiana, alla fine tutto si è risolto in modo decoroso. Quindi, arrivati via aria anziché via terra, siamo sbarcati con una montagna di aspettative in tasca che, devo dire, non sono state affatto tradite. La bellezza dei paesaggi desertici leva il fiato. Intanto il terreno è davvero rosso! Certo il colore cambia molto in base all’inclinazione del sole, ma è comunque incredibilmente rosso, direi marziano. Una terra rossa, punteggiata dal verde qui e là, coperta da un cielo straordinariamente blu. Fantastico! Persino Alice ha subito la magia ancestrale di questo posto. Da buona camminatrice ha onorato Uluru con lunghe passeggiate alla sua base. Avrebbe anche scalato il monolite, se solo non l’avessimo fermata in tempo. Del resto gli aborigeni chiedono gentilmente di non farlo, per cui l’arrampicata sulla roccia sacra non solo è mortalmente pericolosa, ma anche stupidamente offensiva. Quindi, non potendo salirci sopra, Alice si è limitata a correrci intorno, il più rumorosamente possibile! Certo, il sacro e surreale silenzio di Uluru non si può assaporare in compagnia di una bambina che, quando non canta a squarciagola, urla come un’indemoniata. Se poi si considera che ai piedi del monolite non ci sono bagni e ai bambini prima o poi scappa… addio sacralità! Ma anche questo è viaggiare ai bambini…
Uluru è uno dei posti più magici che abbia mai visto ma nel contempo, va detto, è un’infernale macchina turistica. Chi ha messo in piedi la baracca ha congegnato una fabbrica per far soldi, senza troppo rispetto per “l’intelligenza” del turista. Non che mediamente il turista sia un essere intelligente, me ne guardo dal dirlo, ma ad Uluru ci siamo sentiti un tantino offesi. Se non si ha un’auto a noleggio (e questa è stata purtroppo la nostra condizione) si è in completa balia di un perverso sistema di visite guidate. Intanto non è possibile muoversi liberamente all’interno del Parco nazionale di Uluru e Kata Tjuta, se non affidandosi a costosissimi tour guidati dai ritmi insostenibili, perlomeno con i bambini. Tour che durano solo mezza giornata, poche ore di visita frenetica e lunghi momenti di ozio e di noia all’interno del mondo dorato del resort. Anche l’opzione navetta a orari è comunque scomoda perché lascia una libertà fittizia ed è costosissima contro ogni ragione in quanto a mio parere dovrebbe essere un servizio gratuito! Insomma la sensazione è quella di essere spennati ad ogni piè sospinto, e non è una sensazione piacevole. Mi chiedete se ne valeva la pena? Sì ne valeva la pena, almeno una volta nella vita. Sì, giusto una volta... siamo mica Onassis...

2 commenti:

nonna Paola ha detto...

"Dove c'è gusto non c'è perdenza!"
Baci

Unknown ha detto...

Aoh! Sono mica Italiani quelli che hanno organizzato l'ambaradan? Forse di Napoli! Chissa... Ciaoooo...